Vita

La storia. «Da medico a romanziere per spiegare come si affronta l'anemia falciforme»

Graziella Melina lunedì 15 luglio 2024

Il dottor Giovan Battista Ruffo, medico e scrittore

La storia dei tanti pazienti che ha incontrato nel corso degli anni ancora lo commuove: «Vedere le persone che soffrono ti porta a essere empatico», premette Giovan Battista Ruffo, direttore di Ematologia e Talassemia all’Arnas Civico “Di Cristina Benfratelli” di Palermo e membro del Consiglio direttivo della Site (Società italiana talassemie ed emoglobinopatie). «Vedere donne sole e abbandonate con bambini malati – aggiunge –, o al contrario piccoli pazienti che rischiano la vita perché i genitori sono contrari alle trasfusioni di sangue per motivi religiosi non ti può lasciare indifferente».

Il carico emotivo col tempo deve essere stato così forte che alla fine il medico siciliano ha trovato quasi per caso un modo per alleggerirlo, condividendo la sua esperienza di pediatra ed ematologo in un romanzo (Sangue a Falce, edito da Spazio Cultura Edizioni). «Ho iniziato a scrivere questo testo nel 2020, dopo la pubblicazione del mio primo libro, Mettiamo l’acqua rossa. Vivere contro la talassemia, sui vari aspetti della patologia, ma anche sul senso di colpa che vivono spesso i genitori. Ho quindi voluto raccontare la drammaticità di un’altra malattia ereditaria dell’emoglobina, la drepanocitosi, o anemia falciforme, perché è importante fare prevenzione e diffondere la conoscenza anche tra il personale sanitario».

Stavolta ha scelto la forma di un romanzo, per provare a fare arrivare il messaggio a più persone possibili. «La scrittura mi ha permesso di fare un percorso interiore che consiglio a tutti i miei colleghi – riconosce –. Compito del medico è infatti quello di fare informazione e quindi prevenzione». Non sempre infatti accade, soprattutto quando si tratta di malattie sottostimate come l’anemia falciforme, condizione genetica ed ereditaria del sangue dovuta a una mutazione dell’emoglobina per cui i globuli rossi acquisiscono la caratteristica forma “a falce”. «Questa alterazione – spiega Ruffo – porta all’anemia, dovuta alla rottura dei globuli rossi difettosi e a dolorose crisi falciformi, poiché i globuli rossi, a causa della loro forma anomala e alla rigidità, tendono a ostruire i vasi sanguigni».

Si stima che ogni anno nascano nel mondo tra 300mila e 400mila bambini con questa malattia, più comune nell'Africa subsahariana, in India, Medio Oriente, alcune aree del Mediterraneo, dell'Europa, o tra coloro che avevano antenati provenienti da queste regioni. In Italia si contano tra 2.500 e 4mila pazienti. «Questa malattia è strettamente legata alla malaria – spiega Ruffo –. È diffusa soprattutto in determinate aree geografiche dell’Africa, in Grecia, in Calabria e Sicilia. In Italia ai portatori sani (spesso migranti) si aggiungono quelli autoctoni».

Il fenomeno in realtà preoccupa da tempo: già nel 2006 l'Organizzazione mondiale della sanità ha invitato i sistemi sanitari ad aumentare i programmi di prevenzione proprio per ridurre morbilità e mortalità. Due anni dopo, l’assemblea generale delle Nazioni Unite ha persino definito la drepanocitosi «un problema di sanità globale» e ha istituito la Giornata mondiale della Malattia drepanocitica, il 19 giugno di ogni anno.

Intanto, i ricercatori stanno facendo grandi passi avanti. «Nutriamo molte speranze nella terapia genica – spiega Ruffo –. I pazienti trattati hanno la capacità di produrre emoglobina normale e non più patologica. Siamo di fronte a trial che hanno portato alla registrazione di questi trattamenti sia in America, con l’Fda, che in Europa, con l’Ema. In Italia ci sono trial di editing genetico al Bambino Gesù condotti dal professor Franco Locatelli. Ora aspettiamo il benestare dell’Aifa».