Vita

Storie. Genio della ricerca sui tumori, emigra a Oxford. In Italia non c’è spazio?

Monica Zornetta lunedì 15 luglio 2024

Giacomo Gorini alla Oxford Union Library

Trentacinque anni, romagnolo doc, immunologo esperto di anticorpi monoclonali applicati alle malattie infettive e deus ex machina di una start up biotech che potrebbe rivoluzionare la lotta al cancro e alle malattie croniche. Giacomo Gorini è uno di quei brillanti scienziati italiani che stanno lavorando sodo (all’estero) per migliorare la vita delle persone di tutto il mondo.

Partito diversi anni fa dalla sua Rimini per frequentare l’Università di Bologna e laurearsi in Biotecnologie, approdato poi al San Raffaele di Milano per conseguire la magistrale in Biotecnologie mediche molecolari e cellulari, Gorini da poco è ritornato nei laboratori di Oxford – dove, tra il 2020 e il 2021, ha contribuito a testare un vaccino contro il Sars Cov-2 – in veste di neoimprenditore del settore delle biotecnologie per dedicarsi interamente alla ricerca di nuove cure contro tumori e malattie croniche.

L'immunologo Giacomo Gorini - Foto Riccardo Gallini

Nonostante la giovane età, ha già un curriculum di tutto rispetto (e una stupefacente capacità di comunicare, specialmente ai più giovani, le complessità e le meraviglie della scienza e dell’immunologia): ha collaborato con i National Institutes of Health, i centri di ricerca governativi degli Stati Uniti nello studio degli anticorpi dell’Hiv e i vaccini; ha ottenuto un dottorato alla Cambridge University; ha lavorato per quasi tre anni come ricercatore postdoc in Immunologia degli Anticorpi al Jenner Institute di Oxford concentrandosi dapprima sull’identificazione di trattamenti efficaci contro la malaria ed entrando a far parte poi, con la pandemia, dell’équipe che ha sviluppato il vaccino anti Covid.

La “fame di ricerca” lo ha quindi riportato negli States, questa volta al Ragon Institute del Mit di Harvard, e dopo un paio d’anni trascorsi in Italia nel tentativo di trovare investitori con cui avviare una start up biotech (girando molto, nel frattempo, nelle scuole, facendo volontariato nelle carceri e pubblicando un libro per Piemme, Malattia Y, in cui racconta i retroscena della ricerca e delle controversie del vaccino poi distribuito da AstraZeneca), Gorini ha ripreso l’aereo per tornare a Oxford. Per il progetto che ci spiega così: «In alcune patologie, tumorali e no, le nostre cellule esprimono delle proteine che giocano un ruolo fondamentale nella malattia. Purtroppo, però, è difficile, con le tecnologie correnti, sviluppare farmaci che riescano a bersagliare queste particolari proteine, particolarmente piccole, per modularne la funzione. A Oxford sviluppo una nuova tecnologia che permette la produzione di anticorpi capaci di arrivare dove gli altri non riescono e, in più, di cambiare il comportamento di questi bersagli: se sono troppo attivi, di spegnerli; se sono invece inattivi, di accenderli».

A permettere al giovane ricercatore di realizzare un sogno che risale al 2019 e potrebbe davvero cambiare lo scenario è stata la Oxford Science Enterprise – Ose, una società di investimento collegata alla storica istituzione britannica che finanzia idee innovative in particolar modo in ambito scientifico: dal new tech declinato in molte chiavi (energia, mobilità, IA, clima...) al miglioramento della salute e dei servizi di cura alle persone. Anche il suo ex capo al Jenner Institute, Simon Draper, ha creduto in lui e gli ha garantito la disponibilità dei laboratori nel Dipartimento di Biochimica per svolgere le ricerche.

«Il mio progetto si colloca sul fronte della battaglia al cancro ed è motivato da esperienze sia personali che universali: la sofferenza delle persone è stata il mio motore, è stata ciò che mi ha spinto a dare questa direzione ai miei studi – spiega con entusiasmo Giacomo Gorini –. Parto da solo e poi vedremo cosa succede, i risultati dipenderanno dalla generosità di Madre Natura; da parte mia non mancherà niente, ve lo assicuro: ce la metterò tutta».