Medicina. Nuovo accesso alla facoltà, perché ai medici non piace
Troppi camici bianchi abbandonano il Servizio sanitario nazionale
Il problema è condiviso, le soluzioni molto meno. La proposta di un disegno di legge-delega per riformare l’accesso ai corsi di laurea in Medicina, Odontoiatria e Veterinaria, è l’occasione per aprire un dibattito sulle modalità per superare un sistema, quello dei quiz prima dell’immatricolazione (più volte riformati), che da più parti viene considerato incapace di selezionare gli studenti più adatti a intraprendere le professioni mediche.
Tuttavia, il testo che la 7ª commissione del Senato sta esaminando non ha riscosso valutazioni positive nel mondo medico, e altrettanto critici (ma per motivi opposti) sono gli studenti universitari, che avrebbero voluto una maggiore liberalizzazione nell’accesso.
Soddisfatto invece il Codacons, che legge il provvedimento come una vittoria nella propria «battaglia contro gli assurdi limiti di accesso». Parere favorevole contro il numero chiuso è stato espresso da alcuni presidenti di Regione, come Luca Zaia ( Veneto), Vincenzo De Luca (Campania) e Giovanni Toti (Liguria).
«Credo che non si debba equivocare – puntualizza Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (Fnomceo) –. Non viene abolito il numero chiuso, ma viene spostata la selezione dopo il primo semestre».
Infatti, a confermare che il «numero programmato resta» è lo stesso relatore del provvedimento (e presidente della commissione Cultura e istruzione al Senato) Francesco Zaffini, in una intervista pubblicata sul sito QuotidianoSanità.it.
Spiega ancora Anelli: « Al termine del primo semestre, sulla base del fabbisogno del Ssn e delle disponibilità legate al percorso formativo, cioè le borse di specializzazione post laurea, si determinerà il contingente sulla base di coloro che hanno superato gli esami secondo una metodologia standardizzata (che andrà compresa), si creerà una graduatoria che permetterà l’ingresso a Medicina. La sostanza è che l’attuale sistema si sposta, e non è più a quiz, ma non tutti quelli che superano gli esami saranno ammessi al corso di laurea».
Spiega ancora Zaffini a QuotidianoSanità: « Per la collocazione utile nella graduatoria nazionale verranno considerati tre elementi: i crediti formativi universitari ottenuti con il conseguimento degli esami, il voto ricevuto e il numero di risposte esatte date. In questo modo si supera il meccanismo cervellotico dei test e si applica una selezione a seguito di una valutazione degli studenti su base semestrale».
Secondo Anelli, nel provvedimento così come è oggi (siamo solo all’inizio del percorso di approvazione del disegno di legge, e ancora in commissione sono attesi emendamenti) si intravedono almeno due criticità: « La prima è il fatto che tutti coloro che vogliono accedere a Medicina potranno frequentare per sei mesi i corsi. Ma non sappiamo – prosegue il presidente Fnomceo – se le università hanno la capienza necessaria per accogliere i circa 70mila ragazzi che ogni anno partecipano al test».
La seconda è che «poiché non entrano in graduatoria tutti, anche tra coloro che superano gli esami, si crea un contraccolpo psicologico per i ragazzi che vedono mortificate le loro aspettative nonostante abbiano studiato. Lo abbiamo già visto in Francia».
Piuttosto, suggerisce il presidente Fnomceo, sarebbe il caso di potenziare percorsi che già esistono: «Esiste già una sperimentazione, in un centinaio di licei nel nostro Paese, di un potenziamento chiamato Curvatura biomedica, che permette di studiare per tre anni per l’accesso a Medicina: una parte degli studenti decide poi di iscriversi ad altre facoltà, ma i numeri dicono che chi frequenta questo percorso di solito riesce a entrare più facilmente a Medicina».
In più il provvedimento dice di voler potenziare il Ssn, ma i problemi delle carenze di specialisti sono già oggi: « Per formare un medico specialista – puntualizza Anelli – occorrono dieci anni: 6 del corso di laurea e 4-5 della specializzazione. La corretta programmazione non è stata fatta in passato, non si sono valutati correttamente i numeri di chi avrebbe lasciato la professione. E anche se non mancano in numeri assoluti, perché l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas) dice che abbiamo 4,1 medici per mille abitanti, rispetto ai 3,8 della media europea, noi dobbiamo trovare soluzioni al fatto che i medici oggi sono carenti, soprattutto in alcune specialità, perché abbandonano il Ssn, delusi dalle condizioni di lavoro e dalle retribuzioni, e vanno all’estero, dove trovano una situazione migliore su entrambi i fronti».
Un punto che viene fortemente sottolineato da Francesco Cognetti, coordinatore del Forum delle società scientifiche dei clinici ospedalieri e universitari italiani (Fossc): « È drammaticamente urgente fermare l’esodo dei medici verso gli altri Paesi, che è in aumento. Bisogna agire per migliorare le condizioni di lavoro dei nostri medici. La formazione di uno specialista ci costa 200mila euro, ma poi li assumiamo nel Ssn a stipendi nettamente inferiori a quelli degli altri Paesi europei e con condizioni stressanti. Il risultato è che molti se ne vanno all’estero. Su questo fronte non si è fatto nulla: non si è mai parlato di incentivi atti a favorire la scelta delle specialità meno gettonate, ma necessarie: dagli aumenti di stipendio a meccanismi di detassazione. Ma il rischio maggiore viene proprio dall’esodo dei medici, che va frenato in tutti i modi».
Certamente vi è anche un problema in entrata: « L’accesso – osserva Cognetti – deve essere incrementato però non può indiscriminato: credo che le facoltà non sarebbero in grado di assorbire l’urto di 70mila potenziali studenti». Il numero «va programmato in funzione delle reali necessità. Oggi paghiamo lo scotto di una carenza di specialisti soprattutto in alcuni settori: emergenza-urgenza, anestesia, alcune chirurgie, anatomia patologica e radioterapia. E sono specialità tuttora poco scelte nell’iscrizione alle scuole di specializzazione post-laurea».