Vita

Il manifesto. Gli scienziati: «Embrionali ricerca inutile»

Emanuela Vinai venerdì 30 maggio 2014
​«La Medicina può curare senza utilizzare gli embrioni umani», è il titolo del Manifesto scientifico lanciato in questi giorni dalla Federazione Europea One of Us, fondata il 10 aprile scorso a sostegno della campagna omonima che, attraverso una mobilitazione senza precedenti, ha raccolto quasi due milioni di firme per fermare la sperimentazione sugli embrioni umani. Secondo i componenti della Federazione, infatti, non può essere lasciata senza conseguenze la decisione con cui due giorni fa la Commissione europea ha, di fatto, bocciato la richiesta di tutela giunta dai cittadini di 28 Paesi europei.«Il Manifesto è stato scritto diversi mesi fa, tradotto in tutte le lingue europee e presentato alla Commissione», spiega Massimo Gandolfini, neurochirurgo, membro del board italiano che ha preparato il documento insieme al neurologo Gian Luigi Gigli e al ginecologo Pino Noia.«Obiettivo è dimostrare che l’embrione è un essere umano a tutti gli effetti e per questo non può essere oggetto di sperimentazione – continua il neurochirurgo – per esplicitarlo abbiamo sviluppato questo Manifesto in tre parti. Nella prima, attraverso molti dettagli tematici che descrivono il complesso e irripetibile rapporto materno-fetale dal concepimento all’annidamento dell’embrione, fino alla nascita, si vuole sottolineare l’umanità dell’embrione stesso».Da questo fatto discende una logica conseguenza, evidenziata nel secondo punto: «Se l’embrione è qualcuno e non qualcosa, la ricerca sugli embrioni è gravemente lesiva dell’identità biologica e dell’identità ontologica». Infine, nella terza parte, si ricorda che: «l’uomo è sempre fine e mai mezzo, per questo la sperimentazione deve in ogni caso essere a favore dell’essere umano, mai contro».  Alla base del documento resta ineludibile la domanda relativa alla dignità dell’embrione. «Se anche il nodo scientifico può essere dubitativo – chiarisce Gandolfini – perché ad oggi non vi sono risultati dalla ricerca con le cellule staminali embrionali, vi è a monte un’istanza che è precedente a quella scientifica ed è un’insuperabile barriera antropologica. Come tempo fa si era risposto negativamente alla domanda se l’uomo possa essere considerato un serbatoio di organi da espianto, a maggior ragione questo va riconfermato nel momento in cui è in gioco l’essere umano nelle sue primissime fasi, ma già portatore del diritto alla vita».«Questa iniziativa – sottolinea da parte sua Jakub Baltroszewicz coordinatore per la Polonia, che, con le sue 250mila firme raccolte, è seconda solo all’Italia – ha dimostrato la contrarietà alla dichiarazione di "successo" degli standard di tutela sbandierata dall’Ue. Quasi 2 milioni di cittadini di 28 paesi dell’Unione europea invocano cambiamenti nella legislazione. Speriamo che il nuovo Parlamento spieghi basandosi sui fatti e non sull’ideologia, la "mancanza di bisogno"», sottolinea. Cosa fare dunque all’indomani della decisione della Commissione e a campagna chiusa? Baltroszewicz non ha dubbi: «Come sottolineato dai deputati nel corso della Pubblica Udienza, per la prima volta in molti anni nel Parlamento Ue e, in generale, all’interno delle Istituzioni Europee, si è potuto tenere un dibattito aperto e libero sul diritto alla vita. La nostra presenza ha reso la discussione possibile per questo deve continuar».Sulla bocciatura di Uno di Noi è intervenuto anche Francesco Belletti, presidente del Forum delle associazioni familiari: «La decisione della Commissione europea di porre il veto sull’iniziativa Uno Di Noi lascia veramente stupefatti, ma non ci sorprende. Quello che si è voluto impedire è che le Istituzioni si pronunciassero sul livello di umanità del bambino non nato». Si è usata un’arma burocratica per evitare un confronto democratico. «Riconoscere che l’embrione è uomo a tutti gli effetti fin dal concepimento –  commenta Belletti – sbarrerebbe la strada a potenti interessi».