Vita

La denuncia. Pronto soccorso, mancano 5mila medici. «Ma i giovani non vogliono saperne»

Simone Cesati giovedì 5 settembre 2024

«Oggi mancano 5mila medici nei pronto soccorso italiani e stiamo marciando, se non ci sarà una inversione di rotta, verso la chiusura dei servizi». Con queste parole Fabio De Iaco, presidente nazionale Simeu – Società italiana medicina di emergenza-urgenza –, ha lancia al Ministero della Salute la campagna #Noisalviamovite: un progetto il cui obiettivo è di valorizzare le scuole di specializzazione in Medicina di emergenza-urgenza.

De Iaco ha voluto denunciare tutte le difficoltà che la Sanità italiana sta vivendo in questi anni: «In Sardegna – ha detto – ormai si vedono sopravvivere solo tracce di medicina d’emergenza perché la massima parte è gestita extra Servizio sanitario. La Sicilia ha avuto grosse difficoltà. In Piemonte, dove lavoro, mancano 300 medici di pronto soccorso e nei prossimi due anni usciranno dalle scuole di specializzazione solo 40 specialisti. C’è un gap pazzesco che non può essere colmato solo con l’aumento delle borse. Noi facciamo concorsi per posti in pronto soccorso spessissimo, ma la gente non risponde».

Anche il ministro della Salute Orazio Schillaci ha evidenziato le criticità del settore, spiegando che nelle strutture del Servizio sanitario nazionale «lavorano oltre 101mila medici, tra questi 4.312 medici specializzati in emergenza-urgenza. Aumentare i posti di specializzazione non basta se poi non vengono coperti. Lo scorso anno dei posti messi a bando ne sono stati assegnati solo uno su quattro». La situazione è aggravata dal fatto che molti giovani medici evitano questa specializzazione a causa del burnout e della cronica carenza di personale.

Come spiega il presidente nazionale di Simeu, la questione è che i giovani specializzandi al terzo anno di università iniziano a lavorare in pronto soccorso senza contratto e senza tutele. Senza, pertanto, avere la possibilità di firmare un verbale, un referto o di prendere una decisione in modo autonomo. «Devono essere contrattualizzati come assistenti in formazione – sostiene De Iaco – e vanno protetti dal punto di vista assicurativo e previdenziale. I giovani specializzandi che lavorano con noi finito il periodo ci salutano dicendo “tutto bellissimo, ma vado a fare altro perché questa è una vita d’inferno”». La soluzione? «Pagarli di più, certamente, ma non basta».