Vita

GIUSTIZIA E BIOETICA. «La bimba è nata Down, deve essere risarcita»

Paolo Ferrario lunedì 8 ottobre 2012
Ha diritto ad essere risarcito chi nasce con una forma di disabilità, perché il medico non ha effettuato l’amniocentesi, pur richiesta dalla madre, intenzionata ad abortire in caso di malformazioni del feto. Lo ha stabilito la Terza sezione civile della Corte di Cassazione, presieduta da Alfonso Amatucci, che si è pronunciata sul caso di una bambina di Treviso, nata nel 1996 con la sindrome di Down, nonostante la madre avesse posto al medico curante, «come condizione imprescindibile per la prosecuzione della gravidanza», la nascita «di un bimbo sano». In caso contrario, se cioè l’amniocentesi avesse evidenziato la Trisomia 21, la donna aveva già manifestato l’intenzione di ricorrere all’aborto. Il medico, però, anziché eseguire l’amniocentesi, scrivono i giudici nelle motivazioni, «aveva proposto e fatto eseguire alla gestante il solo Tritest, omettendo di prescrivere accertamenti più specifici al fine di escludere alterazioni cromosomiche del feto». Dopo la nascita della figlia affetta da sindrome di Down, la donna, unitamente al marito e alle altre due figlie, ha deciso di citare in giudizio il ginecologo e l’Ussl 8 di Treviso, chiedendo danni per un milione di euro. Sia il Tribunale di Treviso, in primo grado, che la Corte di Appello di Venezia hanno respinto il ricorso dei familiari, che invece è stato accolto dalla Corte di Cassazione, che ha annullato la sentenza impugnata, rinviando il caso alla Corte di Appello di Venezia «in diversa composizione», chiamata «a rivalutare ex novo la fondatezza della richiesta risarcitoria sia della minore, sia dei suoi familiari».Nelle motivazioni della sentenza, i giudici scrivono che anche la bambina, oggi ragazza, nata Down, ha infatti diritto al risarcimento. Questo, però, precisano i magistrati, non significa attribuire al nascituro «soggettività giuridica», ma è soltanto il riconoscimento di un suo essere «oggetto di tutela».«Il diritto alla procreazione cosciente e responsabile è attribuito alla sola madre – afferma l’Alta corte nella sentenza 16754 – per espressa volontà legislativa, sì che risulta legittimo discorrere, in caso di sua ingiusta lesione, non di un diritto esteso anche al nascituro in nome di una sua declamata soggettività giuridica, bensì di propagazione intersoggettiva degli effetti dell’illecito». Per la Suprema Corte, in casi del genere non si discute «di non meritevolezza di una vita handicappata, ma di una vita che merita di essere vissuta meno disagevolmente, attribuendo direttamente al soggetto che di tale condizione di disagio è personalmente portatore il dovuto importo risarcitorio, senza mediazioni di terzi, quand’anche fossero i genitori, ipoteticamente liberi di utilizzare il risarcimento a loro riconosciuto ai più disparati fini».