Vita

Incroci. Antonello Ruggiero: la mia voce per le cure palliative, “medicina dei fragili”

Massimo Iondini venerdì 18 ottobre 2024

Antonella Ruggiero

Anche la sublime voce di Antonella Ruggiero si leva per dare “Una mano alla vita”: una realtà non profit milanese che da 38 anni sostiene e sviluppa iniziative sanitarie, assistenziali e sociali nell’ambito delle cure palliative. E la sera di sabato 19 ottobre la grande cantante genovese tiene il suo “Concerto versatile” (Auditorium di Milano, largo Gustav Mahler, ore 21) a supporto di un ambizioso progetto chiamato “Medicina dei Fragili” che mira a creare un team di specialisti in cure palliative all’interno del Pronto soccorso dell’Ospedale Niguarda di Milano.

«Siamo entusiasti di avere per questo concerto così significativo il supporto di Antonella Ruggiero che conosce profondamente il valore e la funzione delle cure palliative – dice Pier Giorgio Molinari, presidente dell'Associazione “Una mano alla vita” –. La “Medicina dei Fragili” rappresenta un passo importante verso una sanità più inclusiva e attenta ai bisogni delle persone più vulnerabili, cercando di riconoscerli per intervenire in maniera sempre più tempestiva».

Forte del nuovo album “Altrevie” uscito la scorsa primavera, e della ripubblicazione a giugno di “Sospesa”, per la prima volta in vinile per celebrarne i 25 anni dall’uscita, l’ex cantante e fondatrice dei Matia Bazar è da sempre particolarmente attenta alla cruciale questione della cura. «Prendersi cura dell’altro è una scelta e nel contempo una vocazione, una sorta di conversione esistenziale - ci dice –. Per la quale credo che servano particolare coscienza e volontà. Ancor più quando si parla di cure palliative, laddove è necessario un surplus di dedizione avendo a che fare con persone avviate a terminare la propria esistenza terrena».

In una società occidentale votata a quella che papa Francesco chiama “cultura dello scarto”, chi è fuori dalla catena produttiva varrebbe poco o niente...
Per questo occuparsi di chi non è più “produttivo” è un atto persino di eroismo, richiede una forza d’animo e una forza interiore enormi. Bisogna proprio avere in sé un profondo sentimento di altruismo, una grande compassione per la persona nella sua totalità. Bisogna amare la vita, propria e altrui, a prescindere.

Anche quando la vita non sembra più degna di essere vissuta, come si è a volte portati a ritenere oggi?
Il fine vita è un percorso cruciale che richiede un approccio delicatissimo. Non si può giudicare il modo di affrontarlo, tanto meno mi sento di esprimermi di fronte a tragedie come l’eutanasia o il suicidio assistito. A volte sembra però che la nostra presunta modernità porti a non riuscire a reggere certe situazioni disperate. Arrivando così a pensare di porre fine all’esistenza come se ci si riferisse a qualcosa, anziché alla vita stessa. Come se non ci fosse un oltre a cui guardare. Del resto, è sempre più presente l’allontanamento progressivo della dimensione spirituale dell’essere umano, c’è oggi tanto cinismo. In ogni caso, ci vuole un rispetto enorme per chiunque decida di fare una tragica scelta estrema.

Secondo lei, perché in molte coscienze la vita sembra aver perso sacralità e intoccabilità?
Oggi dominano gli oggetti, la strafottenza, la prevaricazione. Tutto va in una determinata direzione disumanizzante. Dal secondo dopoguerra non c’è mai stato un momento di degradazione come questo, di degenerazione del sentimento umano. Però, ci sono tante persone che operano nel bene e fronteggiano questi attacchi. È che fanno meno rumore e sembra che siano poche.

Colpa dei mass media e, soprattutto, dei social media?
Anche. Il mondo sembra un enorme videogioco in cui il bene e il male si contrappongono. E a chi non è direttamente coinvolto nel caos della guerra che in questo tocca le popolazioni del Medio Oriente e dell’Ucraina, sembra di assistere dal di fuori vivendo una specie di folle spersonalizzazione davanti a degli schermi. E se facciamo fatica noi adulti a capire che invece è tutto orribilmente vero, mi chiedo come possano i nostri ragazzi filtrare tutto quello che vedono in tv o sugli schermi dei telefonini distinguendo tra apparente finzione e tragica realtà. Dal Covid a oggi stiamo vivendo una metamorfosi dell’essere umano, della sua sensibilità.

Speranze?
Grazie a Dio ci sono tantissimi giovani con grandi capacità, intelligenza, visione e volontà. Il fatto è che l’amplificazione mediatica premia, per così dire, gli aspetti negativi e deteriori. L’apparenza anziché l’essenza, la superficie anziché la profondità. E tutto questo non fa che attirare tante menti deboli. Prevale una contagiosa imitazione verso il basso. Certo, un giovane può anche desiderare una vita attiva, creativa e positiva ma poi si ritrova a non avere i mezzi per sviluppare ciò per cui magari ha studiato tanto.

Chi ha in mente?
Penso ai tanti laureati che hanno sensibilità e intelligenza, ma poi devono sottostare a sfruttamento con stipendi da fame e umiliazioni. Questa è una offesa alla dignità della persona. E penso soprattutto a due categorie: gli operatori della sanità e gli insegnanti, i pilastri della società e della nostra civiltà. Che tristezza poi il voltafaccia, a partire dalla politica, nei confronti dei medici e degli infermieri che da eroi sono tornati a essere trattati in modo miserabile. Addirittura vengono persino aggrediti. Sono turbata dal lato oscuro delle persone.

E che cosa la consola invece?
Mi consola il fatto che questo lato oscuro molta gente per fortuna non ce l’ha. Credo che perlopiù si nasca con una naturale empatia, anche se forse qualcuno ne è privo per natura. Con empatia si vive, si osserva il prossimo e si percepisce il passato. Si deve fare memoria ed essere solidali se non si vuole vivere nella grettezza. Così, nel mio piccolo, non ho esitato a dire sì alla proposta di esibirmi per “Una mano per la vita”. Animata da persone che decidono di essere utili agli altri, a chi ha più bisogno. Persone che non si fanno sommergere dai segnali di una società votata alla cultura dell’apparenza. Siamo miliardi, ognuno col proprio carattere, con una sensibilità e con la propria testa. E in questo momento stiamo vedendo come proprio la mente sia l’elemento più a rischio. Soprattutto nelle nuove generazioni.

Cosa manca soprattutto secondo lei?
Il contatto con la natura. Se tu vivi in un posto dove non c’è nulla che ti dia un po’ di bellezza e di poesia, come gli alberi e i fiori, dove vai a parare con la testa? L’essere umano è fatto di queste cose, non di oggetti tecnologici. Servono anche questi, per carità, ma non ci costituiscono affatto. È importante invece dove posiamo lo sguardo. E chi lo posa anche sulle persone più fragili compie un atto straordinario di amore e di solidarietà. Oltre che essere un autentico antidoto a tante forme di alienazione mentale che riscontriamo oggi.

Un altro antidoto può essere la musica?
Attraverso i suoni si può acquietare la mente e andare oltre un mondo reale che a volte ci attanaglia. La musica per fortuna è ancora libera e liberante.

E lei cosa fa nel suo “Concerto versatile”?
Si intitola così perché ha tante sfumature. Comprende mie canzoni recenti e del passato, molto amate dal pubblico. Poi il cantautorato genovese, musica sacra, canzoni e musiche del mondo che ho incontrato nella mia lunga carriera. Un concerto multiforme in cui sarò accompagnata da Roberto Olzer al pianoforte, Roberto Colombo al vocoder e synth basso e Ivan Ciccarelli alle percussioni. Con arrangiamenti suggestivi e inusuali. Per avere cura della musica e del pubblico.