Vita

Influenza aviaria. L’Ue prenota vaccini, l’Oms non si accorda. E il virus cosa fa?

martedì 11 giugno 2024

Un'insegna nella sede dell'Organizzazione mondiale della sanità a Ginevra

Si susseguono le notizie sulla diffusione dell’influenza aviaria (H5N1). Il fatto che siano di segno opposto – dall’allarmismo per l’ipotesi della nuova pandemia alle porte alla sdrammatizzazione di chi parla di quadro sotto controllo e di casi isolati –, è sempre più evidente che occorre restare aggiornati nel modo più equilibrato possibile. Cerchiamo di farlo qui, mettendo insieme le informazioni più interessanti e affidabili diffuse di recente.

La mossa dell’Unione europea

L'Autorità Ue per la preparazione e la risposta alle emergenze sanitarie (Hera) della Commissione, ha firmato a nome di 15 Stati membri un contratto quadro di appalto congiunto per la fornitura di 665mila dosi di vaccino pre-pandemia del vaccino antinfluenzale zoonotico Seqirus, con l'opzione per ulteriori 40 milioni di dosi per i 4 anni coperti dal contratto. Lo comunica la Commissione. Gli Stati membri partecipanti avranno così accesso a contromisure mediche per prevenire l'influenza aviaria. Il vaccino è destinato ai soggetti più esposti a potenziale trasmissione di influenza aviaria da uccelli o animali, come i lavoratori degli allevamenti di pollame e i veterinari, e mira a prevenire la diffusione dell’influenza aviaria in Europa o l’insorgere di potenziali focolai. Seqirus è l'unico vaccino preventivo contro l'influenza aviaria zoonotica oggi autorizzato nell'Ue. Il contratto tra Ue e l’azienda inglese Seqirus consente a ciascun Paese partecipante di tenere conto del proprio contesto sanitario pubblico e di ordinare i vaccini in base alle necessità nazionali. Sono attualmente in preparazione le spedizioni verso la Finlandia per la vaccinazione immediata dei lavoratori a rischio di esposizione, su richiesta di Helsinki. Seguiranno spedizioni verso gli altri Paesi partecipanti. Seqirus Uk è titolare di un'autorizzazione all'immissione in commercio modificata a livello Ue per questo vaccino da utilizzare negli adulti, che protegge dall'influenza causata dai ceppi H5 del virus dell'influenza A. Il meccanismo di appalto congiunto Ue è stabilito nell'accordo di appalto congiunto dell'Ue per contromisure mediche, firmato da 36 Paesi, inclusi tutti gli Stati membri dell'Ue e dello Spazio economico europeo (See). Il meccanismo consente ai Paesi partecipanti di procurarsi congiuntamente contromisure mediche, tra cui vaccini, prodotti terapeutici, dispositivi medici. L'accordo garantisce un accesso più equo a contromisure mediche specifiche e migliora la sicurezza dell'approvvigionamento, oltre a consentire di beneficiare di prezzi più equilibrati. L'intesa fa parte delle procedure europee di prevenzione di nuove pandemie.

L’Oms cosa decide?

L’Organizzazione mondiale della Sanità ha concluso il 2 giugno la sua assemblea generale a Ginevra senza approdare ad alcun accordo su un piano pandemico globale, che sembra ancora lontano. I negoziati su un accordo per prevenire e combattere le pandemie sono stati prorogati per un massimo di un anno, al fine di superare le divergenze e salvaguardare i risultati ottenuti. I Paesi membri hanno adottato emendamenti al Regolamento sanitario internazionale, un quadro giuridicamente vincolante per rispondere alle emergenze di salute pubblica, per introdurre il concetto di «emergenza pandemica» e «maggiore solidarietà ed equità». Intanto l’organismo Onu deve fronteggiare la diffusione nei Paesi più poveri del morbillo e della tubercolosi, operazioni per le quali occorrono subito ingenti fondi: un aspetto emerso nell’assemblea, durante la quale il direttore generale Tedros Ghebreyesus ha lamentato che il bilancio dell’Oms sia coperto dai contributi degli Stati membri per una quota inferiore al 20%, esponendo dunque l’organismo a raccogliere ingentissime donazioni dentro le quali tuttavia potrebbero celarsi intenzioni non del tutto trasparenti. Di qui l’appello ad aumentare le quote versate nelle casse dell’Oms, una situazione che però mette l’Organizzazione in una situazione di debolezza rispetto agli Stati più ricchi che sono anche i più ostili a un Piano pandemico globale che preveda la cessione di quote di sovranità sanitaria nel caso di nuove pandemie.

La paziente 1 australiana

Il primo caso di H5N1 registrato in Australia mette in allarme le autorità sanitarie globali: al rientro in aereo da un viaggio in India un bambino di due anni ha accusato i sintomi dell’influenza aviaria. Rispetto ai tre casi di contagio umano già registrati di recente negli Stati Uniti, tutti di addetti alla filiera lattiero-casearia in aziende agricole, il caso del bambino apre uno scenario nuovo. In India il virus era stato rinvenuto sinora solo sugli uccelli, senza evidenze di un salto di specie, tantomeno sull’uomo. La notizia della bambina è stata resa nota tempo dopo le sue dimissioni dall’ospedale di Victoria, dove era stata ricoverata il 4 marzo in terapia intensiva passandovi la settimana successiva. I primi sintomi datano al 25 febbraio: febbre, tosse, vomito, perdita di appetito, irritabilità.

Il caso messicano

Il governo del Messico intanto ha smentito che la persona deceduta nei giorni scorsi per sospetta influenza aviaria fosse infettata da H5N1, come invece dichiarato dall’Organizzazione mondiale della sanità. Il 59enne morto il 24 aprile sarebbe stato affetto da diabete e insufficienza renale. «Vorrei sottolineare che la dichiarazione dell’Oms è piuttosto grossolana, poiché fin dall'inizio si parla di un caso fatale, ma non è così – ha dichiarato il ministro della Sanità, Jorge Alcocer –: è morto per un'altra causa e senza che fosse determinata, mentre solo marginalmente viene affermato che il rischio in questo caso è basso».


Il caso texano

Nel frattempo continuano gli studi degli scienziati sul virus dell’influenza aviaria AH5N1 che sta circolando nelle mucche da latte degli Stati Uniti. L’ultimo aggiornamento riportato dai Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie (Cdc) americani riguarda un lavoro condotto sui furetti con il virus rilevato in un caso umano del Texas. L’agenzia fa sapere di aver «completato il suo studio iniziale sugli effetti» del virus «sui furetti, modello utilizzato per valutare il potenziale impatto sulle persone». Quello che è emerso è che l’H5N1 riscontrato nel paziente texano «ha causato gravi malattie e morte» negli animali. Non si tratta di una sorpresa: il risultato è coerente con quanto mostrato anche da altri studi recenti sui furetti con virus AH5N1, come due lavori pubblicati lo scorso anno su altri casi di H5N1 intercettati in Spagna (nei visoni) e in Cile (in una persona). Per anni i Cdc hanno condotto questi studi per raccogliere informazioni utili alle valutazioni del rischio dei virus influenzali con potenziale pandemico. Quello che si è osservato con il virus del caso umano in Texas è diverso da quanto visto con la classica influenza stagionale, che fa ammalare i furetti ma non è letale: «Nel loro insieme, i risultati sottolineano che l’A H5N1 che si diffonde nel pollame, nelle mucche da latte e in altri animali con infezioni umane sporadiche, può rappresentare un serio potenziale rischio di salute pubblica e potrebbe causare gravi malattie nelle persone. Anche se i tre casi umani di virus A H5N1 negli Stati Uniti sono stati lievi, è possibile che si manifestino malattie gravi tra le persone». Il patogeno del paziente texano si è diffuso in modo efficiente tra i furetti a diretto contatto ma non è stato altrettanto efficiente nel viaggiare tra i furetti attraverso le goccioline respiratorie, a differenza di quanto osservato con l’influenza stagionale. Questi risultati, ribadiscono i Cdc, «non sono sorprendenti e non cambiano la valutazione del rischio» che secondo l’agenzia Usa resta «bassa per la maggior parte delle persone. I risultati rafforzano la necessità che le persone esposte ad animali infetti prendano precauzioni e che le comunità di sanità e agricoltura continuino a lavorare insieme per prevenire la diffusione del virus ad altre mandrie e a persone».

L’Italia è pronta?

Il manifestarsi di contagi umani di influenza aviaria ha confermato quel che si riteneva fosse solo questione di tempo: «Sono vent’anni che aspettiamo che H5N1 si adatti all’uomo, e dopo arrivano magari altri virus e fanno quello che H5N1 non ha fatto – commenta l’epidemiologo Giovanni Rezza, professore di Igiene all'Università San Raffaele di Milano ed ex direttore generale Prevenzione del Ministero della Salute –. Le infezioni da influenza aviaria negli esseri umani possono causare da lievi disturbi del tratto respiratorio a malattie più gravi e letali. Dal 2003 al 22 maggio 2024 sono stati segnalati all'Oms da 24 Paesi 891 casi di infezioni umane da virus A-H5N1, inclusi 463 decessi. L'infezione umana ha dunque un alto tasso di mortalità. Al momento però non c’è allarme perché non c'è evidenza della trasmissione interumana del virus, ma certamente desta preoccupazione il fatto che circolino vari virus aviari in animali ai quali l'uomo è esposto e il fatto che abbiamo dei casi in cui l'esposizione non è ricondotta a un contatto diretto con l'animale infetto. Fondamentale, dunque, è monitorare, non sottovalutare i segnali ed essere preparati». In Italia non è stato registrato alcun caso umano di influenza aviaria ma sarebbe rischioso abbassare la guardia: «Attualmente – precisa Rezza – esistono due vaccini pre-pandemici per l’uomo basati su H5N1, uno dei quali è già stato opzionato dall'Italia in caso di pandemia. Anche se il vaccino dovesse essere adattato a un ceppo nuovo, ciò richiederebbe comunque poco tempo poiché i virus influenzali li conosciamo bene: è una situazione molto diversa rispetto al Covid 19». A mancare ancora è, però, il nuovo Piano pandemico nazionale, aggiornato per il triennio 2024-28 ma «non ancora approvato in conferenza Stato-Regioni. Penso che uno dei problemi sia legato al finanziamento». Oggi in caso di pandemia ci sarebbe sicuramente maggiore preparazione e flessibilità nell'aumentare, ad esempio, i posti in terapia intensiva. Tuttavia il Servizio sanitario nazionale «potrebbe non reggere a una nuova emergenza. Bisogna rafforzare i sistemi di sorveglianza ed essere preparati nella risposta».


La situazione negli Stati Uniti

In Usa sale a 11 la lista degli Stati in cui si sono verificati casi di influenza aviaria nelle mucche, ultimo il Minnesota. Il Board of Animal Health dello Stato ha fatto sapere che nel fine settimana scorso più di 40 mucche appartenenti a una mandria nella contea di Benton ha manifestato i segni dell’infezione. I test hanno confermato la presenza del virus A H5N1. «Sapevamo che era solo una questione di tempo prima che raggiungesse la nostra porta di casa» ha detto il capo dei servizi veterinari dello Stato, Brian Hoefs. A oggi complessivamente il numero di mandrie infettate dal virus si avvicina a 90. La Food and Drug Administration ha indirizzato una lettera alle autorità sanitarie statali e locali per invitare ad alzare il livello di attenzione sul latte crudo. «Sebbene il commercio tra gli Stati di latte crudo per il consumo umano sia vietato, sappiamo che diversi Stati consentono la vendita al loro interno», sottolinea l’agenzia, che invita a informare i cittadini sui rischi derivanti dal consumo. Intanto emergono notizie di contagi da altri animali selvatici. L'ultima specie aggiunta alla lista degli animali colpiti, aggiornata periodicamente dal Dipartimento Usa dell'Agricoltura, sono i topi comuni: la presenza del virus è stata confermata in 11 esemplari in New Mexico. I topi sono ubiqui, vicini all'uomo, e la diffusione del virus in questa specie renderebbe difficilmente controllabile l'epidemia.

I compiti delle autorità sanitarie

I ripetuti focolai di influenza aviaria H5N1 negli allevamenti Usa hanno spinto l’epidemiologo Eric Feigl-Ding, già in prima linea nella divulgazione scientifica durante il Covid, a lanciare un appello alle autorità sanitarie di tutto il mondo: «Iniziare ad accumulare farmaci contro l’influenza», citando antivirali «nel caso l’influenza aviaria diventi trasmissibile tra uomo e uomo. Il rischio è di pentirsene quando poi questi antivirali saranno carenti». Lo scienziato ha aggiunto che alcuni antivirali possono essere assunti anche in via preventiva. Ad esempio, «il Tamiflu è stato approvato dall’Fda anche per la prevenzione dell’influenza».

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