Morte assistita. Leggi regionali? Ecco i fronti aperti (e perché non sono la soluzione)
L'aula del Consiglio regionale della Lombardia
Le diverse iniziative volte all’introduzione nel nostro ordinamento giuridico del suicidio assistito, forzando la pronuncia della Corte Costituzionale n. 242/2019, prima tappa di una lunga marcia verso l’eutanasia, hanno determinato un vero e proprio assalto alle istituzioni, sia dei tribunali che dei consigli regionali, con il risultato di una sorta di “regionalismo differenziato” in una materia delicatissima, che riguarda il bene primario della vita, sul quale non ci dovrebbero essere strumentalizzazioni né forzature.
La prima Regione a discutere una proposta di legge sul suicidio medicalmente assistito è stata il Veneto, il 16 gennaio 2024: per un voto non è stata raggiunta la maggioranza assoluta necessaria per l’approvazione.
In Piemonte è stata depositata la proposta di legge di iniziativa popolare con la raccolta di firme sostenuta dall’Associazione Luca Coscioni e, auditi gli esperti in Commissione, nel mese di marzo di quest’anno il Consiglio Regionale ha votato a maggioranza la “questione pregiudiziale di costituzionalità” posta dalla maggioranza guidata dal presidente Alberto Cirio (Forza Italia), con la quale si è dichiarata l’incompetenza della regione a legiferare in materia.
Lo stesso esito è stato raggiunto nel mese di giugno dalla maggioranza di centrodestra in Friuli Venezia Giulia, dopo plurime votazioni contrarie nel merito, sia in relazione a una mozione sia in Commissione, nei confronti della proposta di iniziativa popolare. Da ultimo, il 30 ottobre 2024, il Consiglio regionale ha respinto per la quarta volta il tentativo di riconoscere in qualche modo un “diritto al suicidio assistito” attraverso il cosiddetto “voto alle Camere e al Governo”, volto a incoraggiare il legislatore nazionale a intervenire nella materia secondo la pronuncia della Corte Costituzionale n. 242/2019. Nel bocciare la richiesta dei consiglieri di centrosinistra, si è rilevato che in Parlamento sono già incardinate diverse proposte di legge sul tema (7 alla Camera e 4 al Senato).
La Regione Lombardia, dopo aver pronunciato in Commissione Affari istituzionali e Sanità parere negativo in merito al progetto di legge di iniziativa popolare sul fine vita, il 19 novembre ha affossato in Consiglio la proposta Cappato, votando a maggioranza la questione pregiudiziale di costituzionalità, ossia ribadendo l’incompetenza del legislatore regionale in materia.
Nelle altre regioni l’iter legislativo non è mai iniziato per mancanza di una proposta di legge, oppure è ancora in fase iniziale, con una situazione piuttosto eterogenea.
In Toscana, Valle d’Aosta e in Abruzzo sono iniziate l’estate scorsa le audizioni degli esperti in Commissione Salute, ancora in corso.
Nelle Marche, prima Regione ad applicare quanto previsto dalla sentenza della Corte ma senza fornire né medico né strumenti, è ferma in Commissione una proposta di legge presentata da un consigliere del Pd e da uno della Lega.
Nel Lazio è solo stata depositata una proposta di legge di iniziativa trasversale.
In Sardegna l’attuale maggioranza (fino a pochi mesi fa all’opposizione) non ha depositato alcuna proposta di legge, come invece aveva fatto nella precedente legislatura.
In Campania è stata depositata la proposta di legge Cappato e nel mese di aprile in Commissione è stato istituito un tavolo tecnico-giuridico per approfondire la materia.
In Umbria e in Calabria è stata depositata ed è ferma una proposta di legge targata Pd, diversa da quella per cui l’Associazione Coscioni ha raccolto le firme, che riguarda unicamente i malati terminali.
In Liguria l’iter di una proposta di legge trasversale si è bloccato con le dimissioni del presidente Toti, che si era dichiarato favorevole.
La Regione Puglia ha approvato nel gennaio 2023 una delibera di Giunta, che però non incontra il favore di Cappato poiché non è previsto un termine entro cui provvedere sulla richiesta di praticare il suicidio medicalmente assistito e nemmeno le indicazioni per istituire la Commissione medica interdisciplinare per la verifica delle condizioni.
Anche in Emilia Romagna, per superare l’impasse della proposta di legge di iniziativa popolare depositata, l’ex presidente Bonaccini ha emanato una delibera di Giunta per la regolamentazione dell’iter del suicidio medicalmente assistito, che però è stata oggetto di ricorso al Tar, tuttora pendente.
Il quadro della situazione nelle Regioni, al di là e prima delle motivazioni giuridiche, ribadite anche dall’Avvocatura dello Stato nel parere reso alla Regione Fvg, dimostra innanzitutto che non è compito dei consigli regionali legiferare sul “fine vita”. Non vi è nemmeno un obbligo di legiferare da parte del Parlamento perché la Corte Costituzionale non può vincolare il Legislatore (ne va del fondamentale principio della separazione dei poteri) e con la sentenza 242 non riconosce alcun “diritto al suicidio medicalmente assistito”, ma nel riaffermare il valore sociale della vita e il dovere costituzionale di solidarietà si limita a dichiarare non punibile il reato di aiuto al suicidio in determinati e particolari casi, stabilendo che alla Sanità pubblica spetta solo il compito di accertare l’esistenza di tali requisiti e di vigilare sulle modalità di esecuzione.
* Giurista, presidente Gruppo consiliare Forza Italia-Ppe in Consiglio regionale Friuli Venezia Giulia
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