Vita

Grand Bretagna. Charlie Gard, poi Alfie Evans: l'imprevisto che scompiglia le certezze

Assuntina Morresi giovedì 3 maggio 2018

Uno striscione esposto durante la partita Roma-Liverpool del 2 maggio 2018 (Ansa)

In drammatica continuità con la storia di Charlie Gard, quella di Alfie Evans ne ha ripetuto, amplificandoli, gli aspetti più crudeli, perché per Alfie molto di più è avvenuto sotto i riflettori, in ospedale, che nelle aule dei tribunali. La lunga battaglia legale dei Gard era per tentare una cura, che non c’è mai stata per Alfie, per il quale lo svolgimento dei fatti ha seguito un percorso diverso, anche se il senso dell’accaduto è stato lo stesso: la vita di entrambi era ritenuta da medici e giudici di qualità talmente scarsa, senza possibilità di miglioramento, che il loro massimo interesse era considerata la morte.

Ma senza il lungo contenzioso dei Gard non ci sarebbe stato quello degli Evans, nelle modalità che abbiamo visto: è stato Charlie Gard ad aprire uno squarcio sui criteri con cui le istituzioni inglesi intendono il best interest delle persone all’interno del loro sistema sanitario. Lo spiegamento di forze di polizia dentro e fuori l’Alder Hey Hospital di Liverpool per impedire a papà Thomas e mamma Kate di portare via loro figlio Alfie, prima, e per consentire l’applicazione della sentenza che lo avrebbe portato alla morte, poi, insieme alla visita a sorpresa a papa Francesco: tutto questo non era accaduto per Charlie Gard, per il quale avevano parlato soprattutto le sue tenerissime foto, insieme alle immagini e alle interviste dei genitori, oltre che le carte di giudici e medici.

Le manifestazioni a sostegno dei Gard non avevano mai richiesto l’intervento delle forze dell’ordine: nessuno tentò di entrare con la forza nel Gosh, l’ospedale londinese dove Charlie era ricoverato, per liberare il bambino. La sua morte è avvenuta nel silenzio dei media, fuori dall’ospedale, e la segretezza dell’hospice in cui è stato trasferito come dell’ora del distacco hanno impedito qualsiasi manifestazione dei numerosissimi sostenitori. La crudeltà del sistema inglese, che fino alla fine ha voluto pienamente disporre della vita e della morte di Charlie Gard (i genitori non poterono decidere neppure dove Charlie sarebbe morto, e la mattina in cui al piccolo fu interrotta la respirazione assistita sua madre Connie chiese inutilmente al giudice qualche ora in più di tempo da trascorrere con suo figlio), per Alfie si è resa più evidente, 'materializzata' nei poliziotti che piantonavano la terapia intensiva dove il piccolo era ricoverato.

Grazie alla rete tutto il mondo ha potuto vedere, in tempo reale, senza mediazioni, le riprese dei telefonini. Ma soprattutto per Alfie è accaduto l’imprevisto: nonostante la sedazione preliminare, nonostante l’interruzione improvvisa della ventilazione meccanica dopo tanti mesi di respirazione artificiale, nonostante le tante ore senza essere idratato, e quasi un giorno senza essere nutrito, il piccolo, così provato dalla ma-lattia, ha continuato, ostinatamente, a vivere, per cinque lunghissimi giorni. Se in un primo momento sono stati i veri e propri atti di insubordinazione di Thomas e Kate a suscitare la protesta di tanta gente, radunatasi spontaneamente intorno all’ospedale, poi è stato Alfie stesso a scompaginare le carte, rimettendo tutto in discussione.

Onestamente, non ci ha convinto il team legale dell’Alder Hey quando ha dichiarato di non aver mai detto che la morte del piccolo sarebbe stata istantanea: se così fosse stato, il protocollo medico avrebbe previsto cosa fare in questa evenienza. Ma nel protocollo – reso pubblico da Thomas Evans sui social – l’ipotesi della resistenza del piccolo non era contemplata.

E medici e giudici sono stati palesemente spiazzati dalla caparbietà di Alfie, che di morire non voleva proprio saperne. «Un imprevisto è la sola speranza. Ma mi dicono che è una stoltezza dirselo», scriveva Montale. Ma l’imprevisto ad Alfie è accaduto, e non c’era stoltezza nel dirselo. Quell’imprevisto ha reso ancora più lampante la violenza di un sistema che si arroga il diritto di decidere quando far morire una persona, un sistema che non riesce a 'gestire' l’imprevisto della vita.