La storia. Michele, clown tra i bambini malati. «Convivo meglio con il mio tumore»
Uno spettacolo di Michele Mariani nel reparto di oncologia pediatrica dell'Ospedale Sant'Orsola di Bologna
Quella di Michele Mariani, pesarese, 56 anni, padre di due figli, inizia come la più brutta delle storie. La sentenza iniziale è severa: «Hai un sarcoma aggressivo, ti restano pochi mesi di vita». Il finale sembra scontato, ma la paura «non tanto di morire quanto di lasciare soli i miei figli» lascia spazio alla speranza: a Natale 2016 scopre che si tratta in realtà di un mieloma multiplo.
Le cure funzionano da subito, anche se il lieto fine ancora non c’è stato: la malattia non molla e dovrà sottoporsi a un trapianto di staminali. Ma i valori dei parametri clinici, secondo il parere degli ematologi del Sant’Orsola di Bologna, che lo seguono con professionalità e dedizione, sono inaspettatamente buoni. Il merito? «Senz’altro delle cure eccellenti del policlinico, ma anche delle endorfine liberate dalla clownterapia». Non quella ricevuta, ma quella che Mariani svolge settimanalmente per i piccoli pazienti oncologici che condividono con lui la battaglia contro la malattia.
Una passione nata in tempi non sospetti, quando, da giovane, si avvicina al volontariato in Croce Rossa, grazie alla quale frequenta il corso triennale da clown di corsia. Per anni, quindi, porta nei reparti oncologici palloncini e simpatia. Quando si ammala il piccolo Mattia, compagno di scuola del figlio Marco, questi gli chiede di accompagnare l’amico nell’ultimo tratto della sua vita terrena. Un’esperienza forte, «cercando di strappare un sorriso a lui e ai suoi genitori fino alla fine»: quei venti giorni costituiscono una profonda maturazione anche per Marco. La mamma del piccolo, pur affranta, lo sprona a continuare, fino all’inaspettata diagnosi che lo porta a condividere quella stessa sofferenza: «Dopo lo sconforto iniziale, ho cominciato ad applicare i principi della clownterapia su me stesso. E ha funzionato».
Così, “l’uomo dei palloncini” torna in corsia. Nonostante la stanchezza data dalle cure, porta avanti il suo impegno con costanza: gli effetti collaterali delle terapie, che gli avevano prospettato, non si manifestano. «L’empatia con la sofferenza dei bambini, delle loro famiglie, degli stessi sanitari che li assistono diventa una cura per me e per loro, la condivisione di momenti felici aumenta il benessere e rende le cure più sostenibili ed efficaci», dice. Il dolore che incontra, infatti, è una presenza quasi fisica nel reparto: «Psicologicamente, affrontare la malattia dei bambini è molto difficile anche per il personale sanitario. Anche loro apprezzano la mia attività, mi cercano, mi chiamano di fronte a situazioni delicate, a bambini che non reagiscono. Ma la depressione è un grande nemico della guarigione».
Anche per gli adulti; «La prima reazione di quelli che incontro in ospedale è: “perché a me?”. Allora, con un pretesto, li porto nel padiglione accanto, dove ci sono i bambini. Quando li vedono, arrivano l’imbarazzo e la vergogna. Per qualche giorno non li vedo più, poi si avvicinano, si scusano, mi ringraziano. Anche quando l’impegno costa fatica, mi sento utile. Il benessere psicologico che dà l’aiutare gli altri è una cura per me e anche per loro, che ricevono piccoli momenti di gioia. I bambini mi confidano le loro paure, se arriva il momento peggiore sono pronto a star loro vicino».
La paura di morire Mariani non l’ha più, in compenso ha un grande sogno da realizzare: «Vorrei aprire una mia associazione di clown di corsia», un po’ speciali come lui. E, con un’ambizione così grande non può esserci spazio per il timore, né per la resa.