Roboetica. Il Papa: l’intelligenza artificiale non si sostituisca alla coscienza umana
Una mano bionica
Attenzione all’«intelligenza artificiale»: un’espressione certamente di moda, «di effetto», ma «i termini occultano» la realtà, cioè che «gli automatismi funzionali rimangono qualitativamente distanti dalle prerogative umane del sapere e dell’agire. E pertanto possono diventare socialmente pericolosi. È del resto già reale il rischio che l’uomo venga tecnologizzato, invece che la tecnica umanizzata: a cosiddette “macchine intelligenti” vengono frettolosamente attribuite capacità che sono propriamente umane». È una riflessione controcorrente quella che il Papa affida alla Pontificia Accademia per la Vita (Pav) impegnata il 25 e 26 febbraio nell’assemblea generale che celebra anche i suoi 25 anni su un tema – «Roboetica. Persone, macchine, salute» – col quale mostra l’impegno ad allargare la sua riflessione per dare un contributo alla «bioetica globale».
È questo fronte che – in continuità con l’impegno sin qui prodotto sui grandi temi della bioetica – il Papa mostra alla riflessione dei credenti, consapevole della necessità oggi di una «alleanza etica in favore della vita umana», progetto che «ora, in un contesto in cui dispositivi tecnologici sempre più sofisticati coinvolgono direttamente le qualità umane del corpo e della psiche, diventa urgente condividere con tutti gli uomini e le donne impegnati nella ricerca scientifica e nel lavoro di cura». Dunque gettare ponti a partire da una visione chiara della centralità dell’uomo rispetto alla tecnologia. Al Papa infatti appare evidente un «paradosso»: «Proprio quando l’umanità possiede le capacità scientifiche e tecniche per ottenere un benessere equamente diffuso, secondo la consegna di Dio – ha detto ancora alla Pav –, osserviamo invece un inasprimento dei conflitti e una crescita delle disuguaglianze. Il mito illuminista del progresso declina e l’accumularsi delle potenzialità che la scienza e la tecnica ci hanno fornito non sempre ottiene i risultati sperati. Infatti, da un lato lo sviluppo tecnologico ci ha permesso di risolvere problemi fino a pochi anni fa insormontabili».
L’esito culturale, in un’epoca che esalta il «poter fare» a danno del «chi fa e per chi si fa», è quello che Francesco definisce un «incantamento pericoloso: invece di consegnare alla vita umana gli strumenti che ne migliorano la cura, si corre il rischio di consegnare la vita alla logica dei dispositivi che ne decidono il valore. Questo rovesciamento è destinato a produrre esiti nefasti: la macchina non si limita a guidarsi da sola, ma finisce per guidare l’uomo. La ragione umana viene così ridotta a una razionalità alienata degli effetti, che non può essere considerata degna dell’uomo». Parole che si inseriscono nel dibattito globale sul primato degli algoritmi – che pongono «gravi problemi di governabilità» visto che «elaborano enormi quantità di dati» – rispetto alla coscienza. Ne sono una conseguenza diretta i «seri interrogativi etici» posti dalle «tecnologie di manipolazione del corredo genetico e delle funzioni cerebrali» con la crescente pretesa di «spiegare il tutto del pensiero, della sensibilità, dello psichismo umano sulla base della somma funzionale delle sue parti fisiche e organiche, non rende conto dell’emergenza dei fenomeni dell’esperienza e della coscienza. Il fenomeno umano eccede il risultato dell’assemblaggio calcolabile dei singoli elementi».
Ecco il punto, che rilancia con i temi e le parole della robotica e dell’intelligenza artificiale, la grande questione sollevata dal Papa nella «Laudato si’» con la questione dell’«ecologia integrale». Con un compito e una responsabilità per i cristiani, di qualunque tema si occupino sul fronte sempre più complesso e delicato della promozione e della difesa della vita umana: «Occorre portare il nostro specifico contributo di credenti alla ricerca di criteri operativi universalmente condivisibili – è la consegna di papa Francesco – che siano punti di riferimento comuni per le scelte di chi ha la grave responsabilità di decisioni da prendere sul piano nazionale e internazionale. Questo significa anche coinvolgersi nel dialogo che riguarda i diritti umani, mettendo chiaramente in luce i loro corrispettivi doveri. Essi costituiscono infatti il terreno per la ricerca comune di un’etica universale, su cui ritroviamo molti interrogativi che la tradizione ha affrontato attingendo al patrimonio della legge naturale». Parole che vanno lette insieme a quelle della sua recente lettera «Humana communitas» per i 25 anni della Pontificia Accademia per la Vita. E che allargano l’orizzonte dell’impegno a una «comprensione del patrimonio della fede all’altezza di una ragione degna dell’uomo».