L'intervista. Bertolino: il cabaret, la musica, l'Inter. La Sla si batte anche così
Enrico Bertolino
«Ma io dico: se i centri commerciali possono trasformarsi in palcoscenici teatrali, ospitando spettacoli di tutti i tipi, perché non sfruttare la stessa possibilità in un ospedale?». Il comico Enrico Bertolino è estremamente “pratico” quando si tratta di mettere in scena un evento di beneficenza. Come ha fatto domenica sera, nel Blocco C dell’ospedale Niguarda di Milano, con l’evento Uno SLAvadent alla Sla, un modo di dire tutto milanese che evoca uno schiaffo contro la Sclerosi laterale amiotrofica, per la cui ricerca l'artista è impegnato a reperire fondi. «Ma sì, uno slavadent, proprio di quelli che mi prometteva mio padre se non mi comportavo bene - aggiunge -. Comunque, non parlerei di beneficenza».
Prego?
Guardi la beneficenza, a volte, serve solo per alleggerirsi un po’ la coscienza. A me piace parlare piuttosto di solidarietà.
Da dove è nata l’idea di uno spettacolo per aiutare i pazienti con la Sla?
È una sfida. Che scaturisce dalla conoscenza di un amico che ha questa malattia e che sta facendo un percorso difficile anche se supportato dal Centro clinico Nemo del Niguarda, un’eccellenza sul fronte della sperimentazione, oltre che su quello dell’assistenza. L’amico in questione è Luca Leoni, che, come me, fa parte di un gruppo di interisti, chiamato “InterNati”, con i quali tutti gli anni raccogliamo fondi per aiutare persone in differenti situazioni di difficoltà. Leoni ha fondato un Inter Club proprio dal Niguarda. Siamo tifosi dell’Inter ma siamo ecumenici, lo scriva per favore.
Lo scrivo se mi spiega che significa.
Del nostro gruppo fa parte anche un milanista che voleva condividere lo stesso percorso di Luca. Questa apertura non è ecumenismo?
Ah, non c’è dubbio. Torniamo alla sua sfida…
Ho lanciato un’idea. La risposta è stata emozionante. Con me sul palco, sono saliti Ale e Franz, Raul Cremona e i JaGa Pirates in una serata impreziosita dalle musiche di Tiziano Cannas Aghedu e Raffaele Kohler e dalle grafiche di Enrico Bettella. E che dire di “Slafood”? Dieci grandi chef hanno risposto alla chiamata del loro presidente, Davide Rafanelli, paziente del Centro Nemo, allestendo un aperitivo sontuoso. L’ospedale per una sera è diventato un posto dove potersi divertire. E dove fare per bene il bene. Abbiamo portato risorse per la ricerca, che rappresenta la grande speranza di questi pazienti. Oggi i farmaci possono rallentare la Sla ma all’orizzonte ci sono sperimentazioni avanzate che possono cambiare il corso della malattia. Siamo tutti fiduciosi che avvenga presto. Nel frattempo, se possiamo dare una mano, a modo nostro, alleviando l’attesa, è tanto meglio.
La nostra sanità soffre ma domenica sera ha prevalso una speranza tangibile…
La sanità italiana è un bene assoluto. Confrontato con tanti sistemi sanitari esteri, il nostro è un gioiello, che non può essere impoverito né svilito per passerelle politiche. Mi deprimo quando la sanità viene considerata un bancomat dal quale attingere, togliendo soldi alla ricerca.
Come giudica la risposta della gente all’iniziativa che ha ideato?
Le basta se le dico che in poco più di due ore abbiamo esaurito i 300 biglietti che, per forza di cose, sono diventati in un attimo 400? Sono venuti clinici, operatori, donatori, compresi i vertici del Niguarda che hanno provveduto a tempo di record a rilasciare ogni autorizzazione. Sa, eravamo pur sempre in un ospedale…
Il pubblico nella galleria Sud del Niguarda di Milano - .
Si aspettava questo riscontro?
La sensibilità c’è, è in un mare di persone. A volte va incoraggiata, e Milano, in modo particolare, risponde sempre. Al Niguarda c’era anche il mio amico frate Marcello, dell’Opera San Francesco, con il quale collaboro da tempo. Lui mi ha aiutato a capire il senso di tutte quelle persone accorse. A volte, mi ha detto, abbiamo un’opinione un po’ distorta della capacità della gente di fare il bene. E poi, voglio sottolineare, c’erano i volontari: oltre 50, parte dei quali dipendenti dello stesso ospedale. Che persone straordinarie! Si mettono a disposizione, seguono i pazienti aiutandoli a vivere belle emozioni, anche fuori dalle corsie.
Per esempio?
Per esempio accompagnandole allo stadio, a San Siro, per vivere una giornata di campionato. Rigorosamente dell’Inter, s’intende.
Non era “ecumenico”?
Certo che lo sono. Ma la passione è passione. Domenica sera non era affatto facile portare tutta quella gente. In una serata nebbiosa, fredda, e, soprattutto, con la partita dell’Inter concomitante... Ho costretto i miei amici InterNati a rinunciare a vedere una gara fondamentale, Fiorentina-Inter, e a non informarmi del risultato mentre ero sul palco.
Perché?
Perché un eventuale gol della Fiorentina mi avrebbe fatto deprimere. Anche se avevo con me un grande amuleto.
Un amuleto?
Una settimana prima dello spettacolo di domenica, è morto un mito come Gigi Riva. E allora ho portato sul palco una maglietta del Cagliari da lui stesso autografata. E... l’Inter ha vinto.
Domenica sera c’è Inter-Juve. Avrà ancora la maglietta di Riva?
E chi se la toglie?