Biopolitica. «Diritto all’aborto» come «autonomia del corpo»: da che parte va l’Europa?
L'assemblea parlamentare europea nella sede della Ue di Bruxelles
È passata nella plenaria di giovedì 11 aprile con la maggioranza del centro-sinistra e anche alcuni voti popolari la risoluzione del Parlamento Europeo che chiede di inserire il «diritto all’aborto» nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Un testo senza alcun valore giuridico cogente, che non ha chance di diventare realtà e che in sostanza ricalca una precedente risoluzione del luglio 2022.
A promuoverlo i liberali-macroniani di Renew (e non è un caso visto il voto francese del 4 marzo a Parigi per l’inserimento della «libertà di abortire» nella Costituzione francese), insieme a Socialisti e Democratici con Verdi e Sinistra.
Una maggioranza che ha tenuto, come previsto: i sì sono stati 336, i no 163 e 39 gli astenuti. Sostanzialmente compatti a favore (con pochissimi “dissidenti”) sono stati i Socialisti e Democratici, di cui fa parte il Pd (compattissimo a favore, senza alcun dissenziente), la Sinistra e i Verdi. Abbastanza compatto Renew. Sì unanime da parte degli eurodeputati M5S. Sul fronte del no solo una manciata di dissenzienti registrano i Conservatori, di cui fanno parte FdI (anche loro compatti). No (con un solo dissidente) da parte della destra euroscettica di Identità e democrazia, tra cui la Lega (tranne un’astenuta). I più divisi si sono rivelati i Popolari: se il numero maggiore è tra i no, c’è un nutrito drappello tra chi ha votato a favore, più qualche astenuto. Spaccata anche Forza Italia.
La parte centrale della risoluzione riguarda la proposta di modifica dell’articolo 3 della Carta dei diritti fondamentali. Al «diritto all’integrità della persona» contemplato in quell’articolo andrebbe affiancato quello «all’autonomia del corpo» con l’aggiunta di un paragrafo 2a: «Tutti hanno il diritto all’autonomia del corpo, all’accesso libero, informato pieno e universale alla salute e ai diritti sessuali e riproduttivi, e a tutti i servizi sanitari relativi, senza discriminazione, incluso l’accesso all’aborto sicuro e legale».
La risoluzione lancia inoltre dure critiche a Paesi dalla legislazione restrittiva – anzitutto la Polonia – e contro Malta, l’unico dei 27 Stati membri in cui l’interruzione di gravidanza è ancora vietata. A entrambi i Paesi viene chiesto di «revocare le loro leggi e altre misure concernenti divieti e restrizioni all’aborto». Non manca una stilettata contro l’Italia, nella quale, insieme a Slovacchia e Romania, secondo il testo «l’accesso alle cure abortive viene eroso» in quanto «una larga maggioranza dei medici fa obiezione di coscienza, rendendo di fatto l’accesso alle cure abortive estremamente difficoltoso in alcune regioni». Non basta. Nel testo si afferma che «i deputati sono preoccupati per il significativo aumento dei finanziamenti per i gruppi anti-genere e anti-scelta in tutto il mondo, anche nell’Ue. Invitano la Commissione a garantire che le organizzazioni che operano contro la parità di genere e i diritti delle donne, compresi i diritti riproduttivi, non ricevano finanziamenti della Unione Europea».
Come accennavamo, il testo è una semplice levata di scudi senza conseguenze, neppure troppo nuova, visto che di «diritto» all’aborto si parla in varie risoluzioni approvate negli anni dal Parlamento Europeo. Che possa effettivamente essere recepito nella Carta Ue è escluso: servirebbe l’unanimità. Basterebbe, per capirci, il veto, oggi certo, di Malta. Accanto al piccolo Paese ce ne sono anche altri contrari, come l’Ungheria e la Slovacchia. Problemi ha anche la Germania per cui l’interruzione di gravidanza resta formalmente vietata anche se non punibile. La Polonia ha un nuovo governo centrista guidato da Donald Tusk (la legge per una forte restrizione a casi estremi della possibilità di aborto è stata attuata dal precedente governo nazional-populista), ma non è affatto certo che Varsavia accetterebbe il «diritto all’aborto».
Anche il governo italiano di centro-destra non potrebbe accettare questa modifica. Non a caso tre esponenti di Fdi (il copresidente del gruppo dei Conservatori al Parlamento Europeo Nicola Procaccini, il capodelegazione Fdi a Bruxelles Carlo Fidanza e l’eurodeputato Vincenzo Sofo), hanno pubblicato un duro comunicato in cui definiscono il testo «un indicatore inquietante di quale progetto sociale abbiano in mente le sinistre per il futuro dell’Europa», un documento ispirato a un «approccio ideologico e pericoloso».
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