Referendum. I Medici cattolici: all’eutanasia rispondiamo con la cura di chi soffre
La campagna radicale per la raccolta delle firme a favore dell'eutanasia legale
«Scegliere la morte è la sconfitta dell’umano, la vittoria di una concezione antropologica individualista e nichilista in cui non trovano più spazio né la speranza né le relazioni interpersonali. Non vi è espressione di compassione nell’aiutare a morire». Dopo la nota con cui la Presidenza Cei ha espresso «grave inquietudine» per la possibile legalizzazione dell’eutanasia in Italia, dall’associazionismo d’ispirazione cristiana arrivano nuove dichiarazioni di preoccupazione e impegno.
Di «svolta di morte» parla Filippo Maria Boscia, presidente dei Medici cattolici (Amci), secondo il quale le tante firme sono state ottenute «ponendo davanti agli occhi dei cittadini la paura di una lunga sofferenza e di una morte atroce. Se si enfatizzano soggettività e autocoscienza dimenticando le potenzialità relazionali, scendiamo molto in basso nello stabilire indicatori di umanità». Il nodo culturale è nel fatto che «il concetto di persona si sta sgretolando»: oggi «si è persona degna di considerazione e rispetto – argomenta il medico – solo se si possiedono le giuste qualità fisiche, psichiche e i giusti attributi sociali». Ma «nessuno può essere intenzionalmente privato della vita. I percorsi del prendersi cura vanno promossi», così come «tutti gli impegni di protezione e salvaguardia della persona e della sua esistenza». Anziché far credere al Paese che la soluzione della sofferenza estrema sia l’eutanasia, Boscia chiede la «valorizzazione delle cure palliative»: «Impegniamoci nella relazione, nella vicinanza, escludiamo l’emarginazione, l’isolamento, la solitudine, l’angoscia e la disperazione», perché «non esistono malattie incurabili, esistono malattie inguaribili per le quale occorre "prendersi cura"». «Come medici cattolici – conclude Boscia – intendiamo promuovere ogni possibile impegno per il sostegno delle strutture di accoglienza e gli hospice».
«Eutanasia e suicidio assistito sono segno di un imbarbarimento culturale indegno di una società che vuole dirsi civile». Lo dice Massimo Gandolfini, neurochirurgo e leader del Family Day: «Farsi carico di tutte le fragilità – aggiunge –, comprese quelle di chi è sopraffatto dalla sofferenza, dalla solitudine, dall’emarginazione vorrebbe farla finita (perché la scelta per la morte non è mai una vera, consapevole e libera decisione) è l’unica strada civile da percorrere. Eutanasia e suicidio assistito sono la pietra tombale della medicina ippocratica, nella quale ho creduto e voglio continuare a credere e servire».
L’eutanasia come effetto di un referendum abrogativo «non può vederci distratti o inerti, qui si toccano diritti umani fondamentali, che non possono essere soggetti alle convenienze politiche di turno». Lo dice Olimpia Tarzia, del movimento Per-Politica etica responsabilità (e responsabile Bioetica di Fi), per la quale «i radicali, non soddisfatti della richiesta di depenalizzare il suicidio assistito, che comunque prevedeva verifiche da parte del Ssn, puntano ora alla depenalizzazione dell’omicidio diretto di una persona, senza alcun controllo o giustificazione medica, nelle condizioni della sua massima debolezza anche psicologica». È «inaccettabile» la rimozione di «uno dei principi fondanti del nostro ordinamento», cioè «l’indisponibilità della vita umana». «Certo – nota Tarzia –, costa di più investire su ricerca scientifica al fine di ampliare le possibilità di terapie, piuttosto che eliminare a monte il "problema", cioè il paziente», ma «compito di uno Stato è aiutare a vivere, non a morire».