Formazione. Più hospice contro il suicidio assistito: la Chiesa italiana in campo
Una stanza del nuovo hospice recentemente inaugurato a Castelfranco Emilia (Modena)
Mentre si continua a dibattere sul tema del fine vita, dopo il pronunciamento della Corte costituzionale, comincia a prendere corpo qualche risposta in più per gli operatori sanitari degli hospice. Se è vero, infatti, che palliativisti non ci si improvvisa, è innegabile che in assenza di un ordinamento che disciplini competenze e professionalità, occorre comunque pensare a un percorso formativo specifico. Una proposta concreta arriva intanto dalla Conferenza episcopale italiana, che ha deciso di delineare un progetto di formazione dedicato espressamente agli hospice. I corsi, online e gratuiti, prenderanno il via a febbraio. Le iscrizioni restano aperte sino a fine anno. «Ci siamo resi conto che il personale che lavora negli hospice e gli assistenti spirituali hanno bisogno di una formazione specifica – spiega don Massimo Angelelli, direttore dell’Ufficio Cei per la pastorale della salute della Cei –. Abbiamo creato così un percorso di formazione per il personale sanitario, e svolgeremo sei seminari online. È stata poi predisposta anche una seconda linea formativa per tutti i cappellani che prestano servizio all’interno degli hospice, cattolici o meno. La ragione di questa formazione è appunto la specificità dell’accompagnamento spirituale nel fine vita».
Un’attenzione tangibile, dunque, alle molteplici esigenze di aiuto e di cura. «Al di là di quale sia la scelta del singolo, nel pieno rispetto della libertà di ciascuno – prosegue Angelelli –, la recente sentenza della Corte sottolinea la necessità di essere accompagnati da un percorso di cure palliative. Sembra dunque assolutamente evidente l’importanza di questo aspetto anche nella ragioni della sentenza: se si parla di libertà di scelta devo avere almeno due opzioni. Se invece mi vengono negate le cure palliative non posso scegliere liberamente e quindi mi trovo obbligato a decidere di morire». Come raccontano del resto gli stessi operatori degli hospice, «le persone chiedono e hanno bisogno di essere accompagnate. Quindi, tutto ciò che ci mette in condizione di assicurare la dignità della persona, sollevandola dal dolore e standole accanto in un contesto relazionale idoneo e appropriato, rappresenta la risposta migliore alla ricerca di dignità nel fine vita».
Ma per riuscirci, è necessario che lo stesso personale sanitario sia sostenuto. Proprio a partire dalla formazione. Del resto, la legge 38 del 2010, che disciplina l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore, lo aveva già previsto stabilendo che si arrivasse a disciplinare gli ordinamenti didattici entro sei mesi dall’entrata in vigore, ossia 10 anni fa. «C’è bisogno di camminare molto in questo ambito, ed è bene che ci siano percorsi di formazione – sottolinea Angelelli –. Al momento, non esiste una laurea specialistica in cure palliative, anche se è stata sollecitata più volte pure dalla Società italiana di cure palliative. Speriamo che il Ministero della Salute e quello dell’Istruzione possano procedere in questo senso al più presto». In realtà, le strutture dedicate alle cure palliative in Italia sono ancora davvero poche. Secondo l’ultima relazione al Parlamento sull’attuazione della legge 38, nel 2017 il numero totale di hospice ha raggiunto quota 240, mentre il numero dei posti letto è 2.777. Nonostante i dati siano poco incoraggianti, il trend degli ultimi mesi inizia a risollevarsi, come si evince dall’apertura di nuove strutture e dall’aumento dei posti letto disponibili. La Regione Toscana ne ha appena aggiunti 63, così a partire da febbraio in totale saranno 211. Anche da parte del governo si intravedono segnali positivi. Nella bozza del decreto Milleproroghe, che dovrà essere convertito in legge dal Parlamento entro fine anno, è prevista la proroga di 18 mesi del termine inizialmente stabilito dalla manovra del 2019 per le idoneità dei medici che operano nelle reti delle cure palliative. Il testo prevede che, per poter garantire l’accesso – che rientra tra l’altro nei livelli essenziali d’assistenza (Lea) –, saranno ritenuti idonei a operare anche i medici sprovvisti dei requisiti previsti dal decreto del Ministero della Salute del 28 marzo del 2013, che alla data di entrata in vigore della legge di Bilancio del 2019 sono già in servizio nelle reti di cure palliative da almeno tre anni e abbiano acquisito una specifica formazione attraverso master universitari o corsi organizzati dalle Regioni.
Intanto, il tavolo degli hospice cattolici e di ispirazione cristiana della Cei, del quale fanno parte 24 strutture, sta mettendo a punto un documento unitario. «Stiamo lavorando per dare alle nostre strutture un’identità comune – spiega il coordinatore, Paolo Favari, direttore generale del Gemelli Medical Center-Università Cattolica di Roma-Hospice Villa Speranza –. Tutti i centri che lavorano nelle cure palliative in Italia forniscono servizi di assistenza eccellenti. Il nostro essere cattolici ci dà però un valore aggiunto. Perciò andremo a licenziare un testo che in maniera molto concreta definirà le caratteristiche che deve aver un hospice che ha la pretesa di definirsi cattolico». Ma senza esclusioni: «Noi cerchiamo di mettere tutti nella condizione di poter vivere la propria spiritualità – assicura Favari –. Abbiamo firmato un manifesto interreligioso di percorso di fine vita. La nostra casa è aperta a tutti».