Giornata mondiale 2017. Comunicazioni sociali: la speranza, cittadina digitale
Per chi si occupa di educazione e di mass media il Messaggio del Papa per la Giornata mondiale delle comunicazioni di domenica 28 maggio, su «Comunicare speranza e fiducia nel nostro tempo», è una lettura che apre la mente e il cuore. Lo conferma Pier Cesare Rivoltella, direttore all’Università Cattolica del Cremit (Centro di ricerca per l’educazione ai media, all’informazione e alla tecnologia), avamposto nella "cultura 2.0".
La scelta tematica del Papa sta suscitando coinvolgimento anche oltre la comunità cristiana. Perché?
«Perché interpreta la questione della crescente confusione tra i fatti e i discorsi: è questo il grande tema della Giornata 2017 e insieme anche la chiave di lettura per temi come post-verità e fake news. Il Papa coglie nel segno centrando l’attenzione sulle responsabilità dei media e dei professionisti dell’informazione, che se non distinguono tra discorsi e fatti rischiano di alimentare una confusione inestricabile anziché aiutare a dipanarla».
L’intreccio della realtà e della sua eco mediatica è irreversibile?
«La comunicazione circolante è sempre più costruita su elementi emotivi e fa perno sulle credenze, cioè su quanto si pensa vada detto per confermare le convinzioni diffuse soprattutto nel mondo dei social, dove prevale il conformismo rispetto al libero pensiero. Se percepisco che per essere letto devo dire ciò che la gente si aspetta, e lo faccio, finisco per incoraggiare l’adeguamento a un pensiero uniforme. Per i professionisti dell’informazione è un grande problema deontologico».
Come si cambia verso a questa tendenza?
«Il Papa restituisce centralità alla coscienza, del credente come del comunicatore, davanti al problema del confronto tra notizie che sembrano chiudere lo spazio alla speranza, ma che hanno un impatto maggiore sull’opinione pubblica, e un racconto della realtà reso da un altro punto di vista. Qui oggi si gioca il coraggio della verità ma anche della speranza».
Molti sembrano scoprire il problema solo adesso...
«E invece la questione è chiara sin dalla guerra del Golfo e del suo racconto, con il dibattito sui "fattoidi" costruiti dalla tv. Il lavoro delle televisioni come apparati di costruzione della realtà oggi si è disperso negli smartphone in mano a ciascuno di noi, un fenomeno di rifrazione all’infinito che rende il fenomeno infinitamente più complesso».
Come lo si affronta?
«C’è bisogno di un investimento non più rimandabile in educazione alla cittadinanza digitale sin dalla prima età scolare per crescere i bambini alla consapevolezza di dover sviluppare responsabilità e senso critico».
Cosa intende per "cittadinanza digitale"?
«Nella nostra società è difficile porre in atto comportamenti di cittadinanza che non prevedano l’uso dei media digitali. Di qui l’obbligo di conoscerne le logiche. La nostra è una realtà aumentata dai nuovi media che oggi sono parte integrante delle cose e degli oggetti quotidiani».
Che impegno attende le comunità cristiane in questo ambito?
«Un lavoro di sensibilizzazione della gente e di formazione degli operatori ai nuovi linguaggi, conoscendo le culture dentro le quali crescono le persone che della comunità fanno parte e dotandosi di strumenti all’altezza. Una vera inculturazione della fede, comprendendo che all’annuncio le nuove tecnologie offrono grandi opportunità».