Vita

La storia. Giuseppe, infermiere con la Sla, testimone di fede

Anna Sartea giovedì 21 dicembre 2023

Giuseppe Spadaro

«Ho fatto l’infermiere per 30 anni e mi sono occupato di ogni tipo di patologia. Quando mi prendevo cura di un malato di Sla, pensavo che nella classifica delle malattie più brutte avrei messo quella al primo posto. Poco più di un anno fa, l’hanno diagnosticata a me e mi trovo ad affrontarla pienamente consapevole di quello che mi succede e di come morirò». Giuseppe Spadaro ha 52 anni, da 21 è sposato con Livia, anche lei infermiera e sua collega all’Auxologico. Insieme hanno messo al mondo 4 figli, che hanno tra i 12 e i 20 anni e vivono a Milano nel Gallaratese.

A marzo 2021 sono apparsi i primi sintomi della malattia e la diagnosi è stata di fascicolazioni muscolari benigne. Un anno dopo, però, ha cominciato a perdere forza alle braccia ed è arrivata la diagnosi definitiva. « Ho capito subito cosa volesse dire, anche se non volevo crederci. Da quando ero bambino ho un’altra patologia, la sindrome di McCune-Albright, che mi ha comportato 23 interventi chirurgici. Mi sono rivolto a Dio per dirgli che avevo già portato la mia parte di croce sulle spalle e chiedergli di non darmi anche la Sla, proprio la malattia che più mi faceva paura».

Per questa patologia non esiste una cura, i farmaci disponibili sono palliativi e servono a migliorare la qualità di vita dei pazienti affetti. Inoltre, la Sla può rimanere stabile per un po’ di tempo e poi tutto a un tratto precipitare. Due mesi fa Giuseppe riusciva a mangiare a tavola con la sua famiglia, ora non ha più l’uso delle braccia e delle gambe. È bloccato a letto, ma riesce ancora a parlare e a deglutire. È accudito dalla moglie e dai figli che si al-ternano per imboccarlo, fargli la barba e provvedere a ogni sua necessità. « Eravamo già una famiglia molto unita, questa malattia ci ha unito ancora di più – commenta Livia –. I nostri figli sono davvero molto affettuosi, attenti e vicini al papà. Eravamo preoccupati per loro, temevamo che la loro serenità fosse di facciata, per non farmi spaventare. Invece è reale e lo constatiamo nei fatti ogni giorno».

Qualche mese fa, Giuseppe ha cominciato a pubblicare sulla sua pagina Facebook pensieri sulla sua malattia, incoraggiato dal suo parroco. « Non volevo farlo, ma mi sono fidato di lui e queste riflessioni stanno avendo un’enorme risonanza. Se grazie alla Sla qualcuno si avvicinerà a Dio, ben venga la mia malattia, che per me è come il chicco di grano: se caduto in terra non muore, non può portare frutto». Nel luglio scorso ha coronato il sogno di laurearsi in Legge e se otterrà il miracolo della guarigione desidera insegnare Diritto nelle scuole superiori. Coltiva desideri e progetti, sperando di guarire. «In questo momento al di là della patologia, sono molto sereno e pronto alla morte, che non mi fa paura. Certo, preferirei guarire perché vorrei vedere i miei figli crescere e perché ho tanti progetti da portare avanti. Sono però sicuro che quello che Dio vorrà sarà la cosa migliore per me e sarà in ogni caso una cosa meravigliosa: l’alternativa alla guarigione è il paradiso!».

Alcuni colleghi di Giuseppe hanno aperto una piattaforma di raccolta ondi per la sua famiglia. Chiunque desideri partecipare, può effettuare una donazione qui: https://gofund.me/540596b5.