Vita

Genetica. «Produrre gameti umani, sbagliato e impossibile: perché insistere?»

Alessandra Turchetti martedì 28 maggio 2024

«È positivo che anche Nature finalmente dia il giusto valore all’approccio epigenetico che, a differenza di quello genetico che si basa sulle manipolazioni, è in grado di modulare lo sviluppo cellulare e quindi controllare malattie gravi come i tumori e tante altre patologie come quelle neurodegenerative. È, tuttavia, un errore continuare a insistere sull’ottenimento artificiale di sperma e ovuli perché non ha alcun senso dal punto di vista scientifico, se non bastassero i dubbi etici su questo fronte di ricerca». Così Pier Mario Biava, medico che ha dedicato la sua vita professionale agli studi sul differenziamento cellulare, anticipando già quarant'anni fa l'importanza e la funzione del codice epigenetico, commenta la notizia pubblicata su Nature di un gruppo dell’Università di Kyoto in Giappone che, nel tentativo di ricreare lo sviluppo in vitro dei gameti, ha ammesso che solo lavorando sulla riprogrammazione epigenetica, a oggi imperfetta, questa ricerca potrebbe avanzare.
Dopo anni di indagini sul Dna, con il completamento del suo sequenziamento, la comunità scientifica internazionale ha ormai acquisito il concetto che il nostro genoma è come un disco rigido di un computer che non sa fare nulla se non viene programmato. Dunque, l’insieme degli elementi che lo programma, ovvero il software, è il codice epigenetico, il codice che sta “sopra” a quello genetico. Gli scienziati di Kyoto hanno introdotto il parametro di questa regolazione somministrando fattori proteici come elemento innovativo in grado di indirizzare le cellule nel loro sviluppo, senza tuttavia riuscire a raggiungere lo scopo.
«È certamente difficile che riescano con i gameti di mammiferi a centrare l'obiettivo –. spiega Biava –. Dal punto di vista scientifico ci sono ostacoli insormontabili. Ho utilizzato nelle mie ricerche sia uova di ovipari, come il pesciolino tropicale Zebrafish che ha le stesse proteine della specie umana, sia embrioni di mammiferi. Abbiamo visto una cosa importantissima e davvero peculiare: nell'uovo fecondato dei mammiferi non è presente tutta l’informazione per il suo sviluppo ma una parte importante delle molecole di differenziazione sono presenti nell’utero materno che non è, quindi, solo un contenitore meccanico ma un vero e proprio organo di regolazione. L’utero materno ha, in pratica, una funzione importantissima di protezione della vita dell’embrione. Sono rimasto estasiato dallo scoprire questa intelligenza presente nella vita fin dal suo inizio».

La frazione proteica a basso peso molecolare isolata nell’utero materno è stata chiamata “Life Protecting Factor” e viene sintetizzata appena dopo l’impianto dell’ovulo fecondato nell’utero. Per capire l'esistenza di questa intelligenza intrinseca che si muove come un direttore d’orchestra che guida il suo concerto, è stato visto che questa frazione attiva le caspasi, enzimi che uccidono le cellule alterate non permettendo, così, che mutazioni compromettano la vita dell'embrione.
«Le manipolazioni di qualsiasi tipo sono destinate a fallire, come in questo caso nel campo della gametogenesi in vitro – conclude Biava –. La complessità della vita non funziona in base a singole molecole ma a pacchetti di informazione che non si possono scindere. Lo sviluppo di un embrione è regolato, cioè, da infiniti segnali e molecole e dal contesto in cui avviene, come dimostra il Life Protecting Factor. Impossibile ricreare tecnicamente l’intelligenza presente nella vita fin dal suo inizio. Non capivo perché nella riproduzione nei mammiferi fosse necessario contenere l'embrione nell'utero, ma la scoperta di questo fattore me lo ha spiegato. Ormai le ricerche più recenti sull’epigenetica hanno condotto alla concezione dell’universo come coscienza, informazione intelligente: se non bastassero i dubbi etici fermiamoci almeno di fronte a questo».