Famiglia. Gandolfini: il popolo del Family Day si farà ancora sentire
Personaggio pubblico lo è diventato suo malgrado: a Massimo Gandolfini il lavoro di neurochirurgo all’Istituto Poliambulanza di Brescia bastava e avanzava. Ma questo affermato medico 65enne, sposato con Silvia, medico anche lei, 7 figli, tutti adottati, è uno di quei cattolici che non sanno dire di no quanto capiscono che bisogna spendersi per ciò in cui si crede. Un impegno – ecclesiale o sociale – tira l’altro, ma a portarlo fin sul palco del Circo Massimo a parlare ai due Family Day del 20 giugno 2015 e del 30 gennaio scorso come portavoce di un movimento variegato capace di coinvolgere ogni volta più di un milione di italiani è stata la combinazione tra coscienza, impegno e competenza. I temi delle tecnoscienze che padroneggia per mestiere e per passione intrecciati ai grandi nodi antropologici dalla seconda metà degli anni Novanta hanno finito per attrarlo verso l’inevitabile responsabilità pubblica, «ma non fonderò mai un partito». Un percorso – di vita, di valori, di battaglie – raccontato ora per esteso nel libro-intervista con il giornalista Stefano Lorenzetto L’Italia del Family Day (Marsilio, 234 pagine, 16 euro e 50), uscito ieri. Chi ha seguito i passi di Gandolfini sa che è uomo di princìpi fermi ma anche di dialogo, eppure passa poco meno che per un pasdaran. Lui sorride, è abituato: «Il libro nasce anche per il desiderio di spiegare bene posizioni che sono note e condivise tra tanti cattolici e oltre ma che possono essere state fraintese – dice –: né io né chi si sente parte del cosiddetto "popolo del Family Day" vuole dividere il Paese o la Chiesa, o discriminare nessuno, ma avvertiamo la necessità di ribadire alcuni punti fermi proprio per un confronto sincero e aperto con chi la pensa diversamente. Sono convinto che occorra essere molto disponibili ma senza svendere i valori della famiglia e della vita umana che riteniamo universali e decisivi. Non intendiamo escludere nessuno, ma per costruire ponti che reggano non si può cedere sull’essenziale». Invece torna l’accusa di alimentare un’intransigenza che finirebbe per lacerare la società: «A dividere l’Italia in realtà è chi ha deciso di smantellare pezzo a pezzo il suo patrimonio culturale – è la replica –. Sono d’accordo sulla necessità di allargare i diritti delle persone ma senza creare confusione e omologazioni improprie, come invece si è fatto nel dibattito sulle unioni civili». Con la franchezza che gli è propria – da buon medico preferisce andare al sodo –, Gandolfini affronta un capitolo dopo l’altro, incalzato da una grandinata di domande, famiglia, omosessualità, nozze e adozioni gay, utero in affitto e questione del gender, con argomenti che suonano familiari a chi ha partecipato al dibattito degli ultimi anni e che però oggi nel confronto pubblico risultano dirompenti. Il punto centrale è sempre lo stesso: «In Italia è all’opera una grande iniziativa culturale e ideologica, che va conosciuta e affrontata ma senza catastrofismi né rassegnazioni. Le mobilitazioni recenti mostrano che c’è molta gente appassionata, che ha capito e non vuole tacere». Certo, a questo punto occorrerebbe un salto di qualità: «Penso a passi avanti nell’accoglienza e nella rappresentanza pubblica di queste istanze molto diffuse», una suggestione che guarda all’«associazionismo cattolico per parlare a tutta la società», con «i laici che si spendono responsabilmente senza attendere ordini, perché tocca a noi muoverci rischiando in proprio» e «lavorando finalmente su quel che ci unisce». All’orizzonte, altre sfide culturali: «La diffusione acritica del gender nelle scuole e i disegni di legge su cannabis legale ed educazione affettiva nei programmi scolastici. Se poi tornano in agenda l’adozione per tutti e l’utero in affitto siamo pronti a una nuova mobilitazione di piazza». L’Italia del Family Day non ha proprio intenzione di fermarsi.