Vita

Sentenza. La Francia apre agli "uteri in affitto"

Daniela Zappalà venerdì 3 luglio 2015
Da mesi, anche a livello governativo, la Francia denuncia a parole con vigore il carattere «intollerabile» della maternità surrogata, considerata da tanti intellettuali di ogni sensibilità come «una forma di schiavitù contemporanea». Eppure, proprio in Francia, due verdetti congiunti della Corte di Cassazione hanno avallato ieri simbolicamente il sistema trovato da decine di single e coppie, eterosessuali e non, per aggirare la disciplina penale che vige nel Paese.I giudici hanno riconosciuto come legittima la trascrizione all’anagrafe francese di due bambine partorite quattro anni fa in Russia da donne locali che hanno accettato la cessione alla nascita richiesta da una coppia omosessuale francese. Le autorità russe avevano accolto le dichiarazioni di paternità biologica. E per la prima volta, queste attestazioni prodotte all’estero sono state considerate sufficienti dalla giustizia francese. L’anagrafe transalpina trascriverà così le bambine come figlie dei genitori biologici, la madre russa e il padre dichiarato francese. La Corte ha invece respinto la richiesta di limitare il riconoscimento al solo padre biologico, così come di esprimersi sullo status, verso le bambine, del partner francese del padre biologico dichiarato.La Cassazione ha interpretato in modo inedito ed estensivo il senso di un recente verdetto della Corte europea dei diritti umani che ha rimproverato alla Francia di lasciare i bambini rimpatriati in una situazione d’incertezza rispetto ai diritti d’eredità, per via dei dubbi sulla loro effettiva cittadinanza.A livello politico, il premier socialista Manuel Valls ha «preso atto» della sentenza, assicurando al contempo che la pratica resterà «un divieto assoluto». Una posizione rimasta a margine del punto focale, secondo tanti osservatori. Per la Conferenza episcopale francese, con un intervento intitolato «Il bambino, un oggetto d’acquisto come un altro?», ha reagito padre Bruno Saintôt, gesuita, responsabile del Dipartimento d’Etica medica del Centro Sèvres: «La Chiesa considera che un bambino ha il diritto di nascere in una coppia unita e che ha il diritto di conoscere la madre che l’ha portato al mondo e il padre che ha contribuito alla sua concezione».    Anche una parte della comunità giuridica si è mostrata subito scandalizzata dal verdetto, considerando che delle difficoltà su diritti accessori (fra l’altro considerate già in fase di superamento) abbiano prevalso sulla tutela di libertà fondamentali. Aude Mirkovic, docente di Diritto privato all’Università di Evry e portavoce dell’associazione Giuristi per l’infanzia, ci spiega: «La Cassazione ha perso la propria credibilità, perché avrebbe dovuto resistere e invece ha riprodotto servilmente gli ordini aberranti della Corte europea. Oggi, è mancata la volontà di proteggere i diritti dei bambini. Da parte sua, il governo avrebbe potuto e dovuto presentare un ricorso a Strasburgo». Incomprensione e rabbia esprime pure Alliance Vita, nota Ong al servizio dei più vulnerabili: «Questo strappo dei magistrati su un tema bio-politico primario nega la democrazia, costituendo pure un abuso di potere e un abbandono di sovranità. È particolarmente choccante se si pensa che il primo ministro aveva rifiutato la trascrizione per non avallare la maternità surrogata», ha martellato il delegato generale Tugdual Derville. La maternità surrogata continuerà ad essere punita penalmente quando è praticata in Francia, ma la sentenza della Cassazione potrebbe incoraggiare un’inflazione dei contratti stipulati all’estero, in Paesi come Romania, India e Stati Uniti. Cercando di scorgere un barlume di speranza pure nel fosco verdetto di ieri, certi intellettuali ed associazioni chiedono adesso un vero sussulto politico e la «fine dell’ambiguità» da parte dell’esecutivo, invitato da molti a legiferare per punire penalmente anche i “contratti” stipulati all’estero, come avviene già per le violenze perpetrate da francesi nei Paesi del “turismo sessuale”. Gli osservatori più pessimisti temono già che la «banalizzazione» della pratica possa incoraggiare nuove rivendicazioni, come quella di un’adozione del bambino da parte dell’altro partner.