Il palliativista. Fine vita, prima della legge si garantisca la cura del dolore
La sofferenza non controllata è intollerabile per chiunque, senza differenze di ceto sociale, di cultura, di convinzione politica o religione. Il suo controllo è davvero un bene primario: la sofferenza può divenire totalizzante e rendere irrilevante qualsiasi altra cosa. Bene ha fatto recentemente il Comitato nazionale per la bioetica (Cnb) a ricordare nel suo documento sulle cure palliative del 14 dicembre 2023 che anche in «un contesto di risorse scarse» il controllo del soffrire non dovrebbe essere mai disatteso. Ciò viene detto a oltre 14 anni dalla legge quadro sul dolore (38/2010), rendendo evidente purtroppo, al di là di esempi virtuosi, la sua ancora limitata efficacia, in termini di ricadute concrete sull’intero territorio nazionale. Il tema maggiormente disatteso resta il nodo ospedaliero, che venne “dimenticato” dal Regolamento degli standard ospedalieri (Dm 70/2015) e non ripristinato concretamente, per assenza di decreti applicativi, neanche dai Lea del 2017, i quali pur stabilivano (articolo 38 comma 2) che dovesse essere garantita la presenza di cure del soffrire durante i ricoveri ordinari.
Nemmeno l’introduzione di una postilla nel Regolamento degli standard territoriali (Dm 77/2022), che richiedeva di occuparsi anche della sofferenza all’interno dei nosocomi agli enti operanti sul territorio (spesso già carenti in tale ambito), è riuscita a sanare questo vulnus. Anche gli ambulatori di terapia del dolore cronico sono rimasti ridotti a un lumicino, di fatto non censibili neanche dalle relazioni al Parlamento (l’ultima risale al 2019) . La sofferenza non è peculiarità del fine vita ma è una triste compagna di viaggio di molte malattie (solo in parte oncologiche), che possono esserne gravate anche per molti anni. Perciò le cure palliative e la terapia del dolore dovrebbero essere presenti nei luoghi ove esse si trattano, precipuamente negli ospedali, e poi in tutti i setting di cura. Essenziali sono le Cure palliative domiciliari e gli hospice volti alle ultime fasi di vita, settori discretamente sviluppati in diverse parti del Paese. Ma l’ambito del soffrire è purtroppo molto più ampio e prolungato nel corso della vita.
Risulta quindi fondamentale implementare anche i servizi che si occupano del controllo delle sofferenze di lunga durata, che sarebbero evitabili. Si auspica che i legislatori non si dividano almeno su tale tematica. Si dovrebbe prendere atto, in verità, che quanto fatto sinora non si è mostrato sufficiente, viste le carenze asseverate dai già citati richiami ineludibili del Cnb. Occorre saper imboccare una strada innovativa, superando anche rendite di posizione. Per essere davvero efficaci, viste le gravi carenze di personale, ora più che mai è importante l'unità – o almeno la sinergia – fra tutti coloro che si occupano di sofferenza, anche laddove sono già presenti servizi piccoli e divisi fra cure palliative e terapia del dolore, oppure dove vi sia solo uno dei due, che in tal caso dovrebbe poter ampliare il proprio raggio di azione; ovvero con la creazione di un unico servizio dedicato laddove sia del tutto assente (affinché in ogni nosocomio vi siano sanitari dedicati). Sicuramente le carenze del Ssn sono evidenti e numerose, ma la sofferenza è la prima cosa direttamente percepita dal malato.
Basterebbero piccoli investimenti indirizzati al miglior controllo del patire per determinare grandi miglioramenti nella qualità di vita, ma anche immediati risparmi per la riduzione di accessi al Pronto soccorso e di ricoveri inutili generati dal soffrire non controllato. In questi periodi si parla molto di più del diritto al suicidio assistito, ma non va scordato che la sentenza della Corte Costituzionale 242/2019 che lo ha parzialmente consentito evidenziava la prioritaria necessità di garantire adeguate cure della sofferenza. Infatti la presenza di gravi patimenti toglie al malato la vera libertà nelle proprie scelte esistenziali, essendo di per sé indesiderabile la prosecuzione di una vita afflitta da gravi sofferenze non controllate. La carenza di personale rende fondamentale anche il tema di una formazione adeguata e attrattiva. Proprio le recentissime scuole di specialità di Cure palliative, quest’anno sarebbero purtroppo ancor più disattese degli anni passati. Sono segnali che andrebbero colti e che paiono indicare la necessità di ampliare il campo di azione e quindi di appetibilità della specialità stessa per i giovani. Si auspica quindi che prevalga un approccio pragmatico e non ideologico, capace di colmare i gravi vulnus che sta patendo la necessità di ottenere il diffuso controllo del patire (che certo è un bene comune).
* Medico specialista in cure palliative e terapia del dolore