Una nuova sentenza di assoluzione per un caso di maternità surrogata all’estero di cui è protagonista una coppia di italiani. A emetterla è la Corte di Cassazione, la cui quinta sezione penale ha confermato un verdetto assolutorio del gip di Napoli (luglio 2015).
Il caso è quello di una coppia napoletana di cinquantenni, infertile, che è andata in Ucraina per ottenere un figlio – nato a fine agosto 2014 a Kiev – grazie al seme del marito e ovociti femminili di una "donatrice" acquistati sul libero mercato, e all’affitto del grembo di una donna che ha sottoscritto un contratto con la coppia italiana in cui – a norma della legge ucraina, per la quale la maternità surrogata è legale – si impegnava a consegnare il bambino subito dopo la nascita dichiarando il bimbo come figlio degli italiani e non suo.
La pratica, vietata in Italia per effetto della legge 40, è però consentita in molti Paesi (inclusi vari Stati Usa): e questo fa sì che gli italiani che tornano in patria con un figlio in braccio che non possono aver generato loro siano sistematicamente assolti dall’accusa di aver violato la nostra legge. La Cassazione va oltre le ripetute sentenze dei tribunali italiani che sinora si sono succedute, e ricorre ad alcuni argomenti. A cominciare proprio dal fatto che c’è una prassi giurisprudenziale ormai invalsa (si assolve la coppia italiana committente "nell’interesse del minore") e che nessuna legge in Italia prevede un esplicito divieto per una pratica come la surrogazione di maternità consumata all’estero: «La legge – scrive la Suprema Corte – deve definire chiaramente i reati e le pene che li repirmono».
Una conferma ulteriore, e a questo punto davvero stringente, che si fa indispensabile un intervento normativo del Parlamento per fermare efficacemente l’orrendo mercato della vita umana a pagamento sulla pelle di donne povere ridotte in schiavitù al punto da farsi incubatrici di figli altrui strappati alla loro mamma un istante dopo il parto.
La Cassazione a questo aspetto etico non presta la minima attenzione linitandosi a ragionamenti giuridici nei quali però richiama la sentenza 162 della Corte Costituzionale datata 10 giugno 2014 (quella che aprì alla fecondazione eterologa): rileggendola non è difficile rilevare che i giudici costituzionali, aprendo un varco nella legge 40, elencarono a scanso di equivoci le pratiche che restavano vietate. E in quell’elenco risultava la surrogazione di maternità. Perché allora legalizzare per sentenza un atto del quale a livello internazionale si sta cercando di ottenere la messa al bando e che resta chiarissimamente vietato dalla legge?