Vita

La giornata. «Fertility day», una rivoluzione culturale?

Luciano Moia giovedì 22 settembre 2016

Al di là delle perplessità e delle richieste di integrazione socio-educative già espresse dal nostro quotidiano. Al di là delle critiche avanzate in modo aprioristico dal mestatori di professione (non su queste pagine). Al di là della possibilità di realizzare concretamente tutto quanto promette sulla carta, il fatto che oggi il "Piano nazionale per la fertilità" possa decollare, rimane un fatto straordinario. Segno che anche gli ultimi difensori del desueto allarme malthusiano stanno finalmente rivendendo le loro posizioni. E che forse, con un po’ di fatica, la cultura della vita sta confermando la bontà dei suoi fondamenti anche in quegli ambiti istituzionali e scientifici che forse, fino a pochi anni fa, le sarebbero stato preclusi. Via libera quindi al "Fertility day" con tutto il suo nutrito apparato di convegni e di iniziative di cui diamo informazioni qui accanto.

Vetrina ambiziosa di progetti e obiettivi, forse ancora più impegnativi, sintetizzati dal documento diffuso dal Ministero della salute che, a proposito della possibilità di informare i cittadini in tema di fertilità umana, fornire assistenza sanitaria qualificata, capovolgere la mentalità corrente spiegando che la natalità non è solo un dono per la coppia (nel documento si parla di "bisogno essenziale", ma non si può pretendere troppo) ma una ricchezza per l’intera società, prospetta esplicitamente una "rivoluzione culturale". Vediamo allora quali sono i cardini di questa "rivoluzione" e cerchiamo di metterne in evidenza luci e ombre nella prospettiva dell’antropologia cristiana, che è sguardo sull’uomo e sulla donna a partire dalla verità e dallo splendore della differenza sessuale.

E se in questa lettura c’è al centro il ruolo della famiglia, ci appare inevitabilmente un po’ sfasato che, elencando i destinatari del progetto informativo per divulgare gli obiettivi del Piano, il documento proponga il seguente elenco. Al primo posto "Media e campagna di informazione", al secondo "La giornata nazionale di informazione e formazione sulla fertilità", al terzo "operatori sanitari", al quarto "farmacie, al quinto "scuola e università" e, solo al sesto e ultimo posto, la "famiglia". Certo, si riconosce che il ruolo familiare è «fondamentale e insostituibile nell’educazione sessuale in tutte le diverse fasi della vita dei giovani». Ma allora – sia consentito il dubbio – perché non capovolgere l’elenco?

Del tutto condivisibile invece l’approfondimento che il Piano – messo a punto da un gruppo di esperti di varie competenze presieduto dalla ginecologa Eleonora Porcu –  dedica al ruolo sociale ma anche personale della maternità. Parole molto belle quelle usate per spiegare che l’essere madre «sviluppa l’intelligenza creativa e rappresenta una straordinaria opportunità di crescita». Peccato che a dominare lo scenario siano invece, come riconosce anche il testo del ministero, le "culle vuote". Un inverno demografico che, si spiega nel dettaglio, ha un alto costo sociale, professionale ed economico.

Il Piano offre anche un’analisi socio-culturale della tendenza prevalente in tutto il mondo occidentale, parlando con lodevole franchezza di «ripiegamento narcisistico» e di «attitudine adolescienziale» di troppe giovani coppie. Non manca neppure un’analisi esplicita – più volte trettaggiata anche su queste pagine – delle difficoltà di conciliazione famiglia-lavoro. La disincentivazione della maternità, si ribadisce, è poi determinata anche dalla sbilanciata ripartizione dei carichi domestici e di cura, dalla crisi dei valori di riferimento, dalla tendenza a privilegiare la realizzazione personale e professionale. Tutti elementi che, sommati agli effetti negativi della crisi economica, contribuiscono a quel "segno meno" sul piano demografico che indebolisce il Paese intero.

Ma per invertire la tendenza e definire le premesse per cambiare rotta, è urgente anche sgomberare il campo da rappresentazioni mediatiche che non corrispondono alla verità. Tra le più deleterie quelle che raccontano come, grazie alle nuove tecniche di fecondazione, sia ormai possibile procreare sempre e comunque. Qui il documento è perentorio: «Non si può lasciar credere a donne (e uomini) che ci sia l’onnipotenza di procreare praticamente per tutta la vita». Impeccabile, anche se talvolta il linguaggio è fin troppo specialistico, la parte scientifica del testo. Si spiega l’importanza di conoscere la fisiologia maschile e femminile della fertilità, le precauzioni necessarie per non comprometterla, i controlli a cui sottoporsi.

A proposito dell’educazione sessuale del bambino e dell’adoloscente appare invece un po’ unilaterale la fiducia accordata al documento Oms del 2010 con linee-guida che – come anche rilevato a suo tempo sui nostri media – suggeriscono "esperienze" che non tengono conto della sensibilità dei piccoli, ignorando completamente l’educazione al pudore. L’ultima parte del Piano tratta le patologie che riducono la fertilità e ne approfondisce diagnosi e cura. Ultima nota positiva il capitolo dedicato, con grande trasparenza, ai costi della Pma. Un rischio che, si ammette, non è solo economico.