Fine vita. Eutanasia «per vita completata», la via olandese al “diritto di morire”
Lo scorso 7 novembre – alla vigilia delle elezioni politiche – il D66, il partito dei democratici liberali olandesi, ha presentato in Parlamento una nuova versione della legge per il suicidio assistito per “vita completata”. Se approvata, consentirà l’aiuto di stato alla morte a persone di almeno 75 anni che non hanno i requisiti per accedervi - non sono malate - ma mostrano un desiderio “attentamente considerato” di morire perché ritengono che la loro vita sia conclusa e che vivere non abbia più alcun senso.
In Olanda l’eutanasia (insieme al suicidio assistito: la differenza è solo procedurale) è stata legalizzata nel 2002, ma l’idea della morte su richiesta per “vita completata” è di 11 anni prima, di Huibert Drion, giudice della Corte suprema: “Mi sembra (...) che molte persone anziane potrebbero trovare grande conforto se potessero avere un modo per porre termine alla propria vita in modo accettabile nel momento in cui (...) sembra loro giusto”. La sua proposta è di limitare l’accesso ad anziani di più di 75 anni che vivono soli.
Lunghissimo il dibattito pubblico che ne segue e che nel 2010 sfocia in una raccolta di firme - più di 100.000 - per una legge dedicata. Nel 2014, su indicazione del ministro della Salute, del Welfare e dello Sport, si insedia il Comitato Schnabel, incaricato di verificare una possibile estensione dell’eutanasia anche ai casi di “vita completata”. Il report finale, dopo due anni, si esprime contrariamente a questo ampliamento della norma, ma il governo insiste e rilancia. Nel dicembre 2016 il D66 rende pubblica una proposta di legge sul suicidio assistito per “vita completata”. Un primo testo viene presentato in Parlamento il 17 luglio del 2020, dopo un ulteriore approfondimento commissionato dal governo al Dipartimento di Etica della cura dell’Università degli Studi umanistici, a Utrecht, in collaborazione con l’Umc Utrecht Julius Centrum. L’indagine degli esperti, guidati dalla professoressa Els van Wijngaarden, rileva che “lo 0,18% degli olandesi di età pari o superiore a 55 anni ha un desiderio di morte persistente e attivo, che si può meglio descrivere come un desiderio di porre fine alla vita, senza essere gravemente malati. Si tratta di circa 10.156 persone”.
Nel maggio del 2022, però, il Consiglio di Stato dà un parere negativo al testo di legge, chiedendo più tutele per chi chiede di morire: è necessario dare più tempo per la riflessione e accertare che il suicidio sia davvero l’unica soluzione alla sofferenza di vivere.
Indicazioni inserite nella nuova proposta, appena presentata dalla deputata Anne-Marijke Podt, del D66: aumenta da due a sei mesi il periodo di riflessione, e si prevede anche il coinvolgimento nella procedura di un medico che relazioni sullo stato di salute dell’aspirante suicida. La figura centrale della procedura resta quella di un nuovo professionista, il “consulente di fine vita”, che deve accertare che la richiesta di morte sia “ponderata, volontaria e sostenibile”, e per questo, nel semestre di riflessione, deve avere almeno tre colloqui con chi vuole suicidarsi perché stanco di vivere.
La nuova professionalità è necessaria perché chi vuole morire per “vita completata” non ha patologie: se l’unico requisito da rispettare, oltre l’età, è l’accertamento della volontà, non serve un medico. Si tratta dell’eutanasia svelata nella sua essenza: non, come la si vuole presentare, una questione di etica medica, cioè la soluzione estrema per una malattia inguaribile, ma una questione antropologica, cioè il diritto di scegliere quando e come morire.