Vita

Intervista. «L’eutanasia è una tentazione. Ma per chi è sano»

Lucia Bellaspiga lunedì 10 febbraio 2014
Eluana cinque anni fa. Sembra passata un’era dai giorni tragici in cui nella Repubblica italiana per la prima volta una persona disabile veniva uccisa legalmente. Dopo quasi due decenni di battaglie legali da parte di Beppino Englaro, circondato dalle associazioni pro eutanasia, e due decenni di altrettanti no da parte di tutti i giudici (l’eutanasia nel diritto penale è un omicidio), il padre della ragazza otteneva dalla corte d’Appello di Milano il permesso di togliere l’alimentazione e l’idratazione a sua figlia, fino alla morte. Perché Eluana, a differenza di quanto raccontavano molti giornali e tivù, non era attaccata a nessuna macchina, era una disabile ma non aveva malattie di sorta, dunque non c’era alcuna spina da poter staccare. Se si voleva che morisse, restava solo ucciderla, con un’iniezione ad esempio, come avviene nei Paesi in cui appunto vige la pena di morte, o esponendola a consunzione per fame e sete. La seconda via sembrò meno scioccante per una nazione che rifiuta la pena di morte anche per gli assassini, figuriamoci per una disabile, e così fu portata a Udine. «Englaro passò per eroe civile perché la gente credeva in buona fede che la figlia soffrisse e fosse una malata terminale sottoposta ad accanimento terapeutico», ricorda Sylvie Menard, famosa oncologa un tempo schierata su posizioni pro eutanasia, oggi (da malata grave di cancro) paladina della vita dignitosa. «Essendo io atea, spesso ci si stupisce che io sia per la vita e non per la “libertà di scelta”: ma io sono per la libertà di scegliere la vita!».In questi 5 anni lei ha girato l’Italia invitata a dibattiti sul fine vita. Qual è il bilancio?Quando Eluana fu uccisa si diceva che molti avrebbero percorso la strada aperta da Englaro. Così prevedeva lui stesso. Invece questa ondata di morte non c’è stata, i parenti dei disabili come lei hanno continuato a prendersene cura e anzi a chiedere di essere aiutati. Insomma, era un caso molto isolato, che ha fatto parlare di sé in modo indecoroso e sollecitato l’opinione pubblica con messaggi completamente falsi, suscitando così opinioni errate. Oggi le situazioni del genere sono gestite, com’è giusto che sia e come era sempre stato, dal rapporto medico-paziente-familiare, secondo scienza e coscienza, certo non dai giudici e dai giornalisti.Che cosa nota nella gente durante gli incontri?Che ancora non sa nulla: quando racconto che Eluana non era attaccata a macchine, che la mattina si svegliava e la sera si addormentava, rimangono interdetti. Nei media, poi, c’è un’ignoranza spaventosa, si parla di “coma vegetativo” quando il coma dura al massimo un mese. Guardi i titoloni su Schumacher che “si sta svegliando”, che “ha aperto gli occhi”: ma è ovvio, dopo un mese il coma finisce e ciò è indicato proprio dall’aprirsi degli occhi. Non so come si evolverà poi la storia di Schumacher, speriamo si riprenda, ma se restasse disabile la sua potrebbe essere una testimonianza di vita fortissima, anche solo riuscisse a sorridere, come fanno tante Eluane... Voglio vedere chi oserebbe togliergli da mangiare e da bere fino a consumarlo. Chi fa informazione dovrebbe prima informarsi: lo stato vegetativo non è una malattia, non è uno stato clinico ma quasi sociale, sono persone vivissime ma impossibilitate a comunicare e la cui coscienza non è misurabile. Che ne sappiamo di cosa sentono? Certo che se si scrive che “Eluana era morta da 17 anni”, la gente crede che fosse in morte cerebrale... Purtroppo c’è chi va anche per le scuole a diffondere disinformazione.Oggi che lei è malata dice che l’eutanasia è una tentazione dei sani.Quando si sta bene si teorizzano tante cose, poi però nella malattia accetti pian piano situazioni che prima rifiutavi, le priorità cambiano. Io da 40 anni seguo i malati terminali all’Istituto nazionale dei Tumori e mai nessuno mi chiede di morire. Altra cosa però è chiedere di morire dignitosamente, senza soffrire, e in questo l’Italia è scandalosamente indietro: abbiamo la legge più bella sulle cure palliative e la terapia del dolore, ma ancora si lascia che la gente muoia tra sofferenze atroci, perché? Il sindaco Pisapia a Milano ha istituito un “registro per il testamento biologico” che è carta straccia, perché invece di sprecare tanti soldi non li investe in cure palliative? È ridicolo pensare che in caso di incidente il medico prima di salvare la vita al paziente chieda in Comune se può farlo o no, tra l’altro andando contro la legge, sono posizioni ideologiche. Invece pensiamo alla morte dignitosa: se un malato terminale con gli oppiacei muore dieci giorni prima ma muore bene, che male c’è? Meglio dieci giorni in meno ma senza soffrire. Questa non è eutanasia