Emilia Romagna. Ru486 e sostegno a mamme in gravidanza, temi (e polemiche) nelle urne
Mentre l’Emilia-Romagna si appresta a scegliere chi la governerà per i prossimi 5 anni, si infiamma il dibattito sulla determina dirigenziale regionale che ha previsto una stabilizzazione della somministrazione domiciliare della Ru486, la “pillola abortiva”. Oggetto di animate discussioni politiche nell’ultimo faccia a faccia all’americana che ha visto protagonisti i due principali contendenti al ruolo di governatore, cioè Michele de Pascale per il centro-sinistra ed Elena Ugolini per il centro-destra, la questione è stata affrontata con una certa enfasi.
Mentre Ugolini ha ribadito l’intenzione di difendere la 194, ma intesa nell’applicazione di tutti i suoi articoli, senza entrare nel merito della determina, de Pascale ha strenuamente rivendicato le azioni della Regione volte a favorire l’accesso domiciliare all’aborto chimico, pur specificando di non voler usare i temi etici come «una clava», cioè senza ammettere un contraddittorio. Proprio durante il dibattito, all’esterno è avvenuta una protesta di una ventina di attiviste pro aborto, che sostenevano che Ugolini avesse firmato un appello delle associazioni pro-vita, circostanza poi smentita.
Anche i candidati consiglieri portano in campagna elettorale il tema dell’aborto. In particolare, un video di Matteo Hallissey, segretario dei Radicali italiani e candidato nella lista dei Riformisti per Michele de Pascale, ha scatenato la reazione di Federvita Emilia-Romagna. Nel filmato infatti appare con una collaboratrice, con la quale dice di essersi «infiltrato in una clinica antiabortista» della Regione. Naturalmente, in Italia non esiste alcuna “clinica antiabortista”, come specificato da Federvita. Con la solita tecnica della telecamera nascosta, i due riprendono un colloquio avuto con alcuni volontari, che semplicemente espongono le alternative possibili all’aborto, esplicitando le varie forme di aiuto economico garantite dal terzo settore e dalle istituzioni.
Infine, arriva l’attacco del ginecologo bolognese Corrado Melega, già Consigliere comunale a Bologna dal 2004 al 2010 per il Pd, il quale alla vigilia del voto dalla pagine di una testata specialistica del mondo sanitario lamenta il fatto che «l’emendamento all’articolo 44 del Pnrr in tema di “riorganizzazione dei servizi consultoriali”, recentemente approvato dal Parlamento apre di fatto la porta dei consultori pubblici alle associazioni pro-vita, che potranno incontrare le donne che hanno chiesto un’interruzione di gravidanza, con l’evidente fine di dissuaderle dalla loro decisione». In particolare, cita il caso locale del «cosiddetto “Protocollo di Forlì” che prevedeva il coinvolgimento di soggetti sociali, sanitari e del privato sociale, con l’obiettivo di sostenere e affiancare le donne ed eventualmente le coppie che avevano deciso per l’interruzione di gravidanza, senza delegarlo alla Ausl». A suo avviso, «si trattava di un tentativo che, forzando il dettato della legge 194 e facendo leva sulla stigmatizzazione e la colpevolizzazione, metteva in campo strumenti di persuasione morale e/o economica per convincere le donne a rinunciare». Non si è fatta attendere la risposta del mondo pro-life.
Angela Fabbri, fondatrice e volontaria del Cav di Forlì, ha ripercorso i successi dell’applicazione del protocollo, intesi come un concreto sostegno dato alle donne che, per ragioni sostanzialmente economiche o per solitudine, chiedevano supporto durante e dopo la gravidanza. Anche il ginecologo Giorgio Cicchetti ha ribadito che «la legge 194, così come tutte le leggi dello Stato, va applicata in toto e non solo in alcune parti. Se da più parti viene proclamato il diritto di abortire, in tutta libertà, deve essere garantito anche il diritto di non abortire, che può essere conseguito, nel rispetto più completo della libertà di scelta, aiutando le madri in attesa a superare problemi e difficoltà, qualora questa sia la richiesta.Ssenza stigmatizzazioni né colpevolizzazioni.