I ricorsi alla Consulta. Quell'embrione è vita umana. Perché scartarla?
Ormai dieci anni fa il Parlamento italiano approvava, dopo anni di confronti e discussioni, una legge sulla procreazione medicalmente assistita. Quasi in coincidenza con il suo anniversario, nell’udienza dell’8 aprile prossimo, la Corte Costituzionale si pronuncerà su tre questioni in seguito alle ordinanze dei tribunali di Firenze, Catania e Milano. La prima riguarda il divieto di eterologa. Su questo punto la Corte si è già pronunciata il 22 maggio 2012, dopo aver riunito i procedimenti provenienti dai Tribunali di Firenze, Catania e Milano, ordinando la restituzione degli atti ai Tribunali rimettenti. Questi, infatti, avrebbero dovuto «accertare, alla luce della nuova esegesi fornita dalla Corte di Strasburgo, se ed entro quali termini permanga il denunciato contrasto». La Corte di Strasburgo aveva stabilito che il divieto di eterologa non è di per sé contrario alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Ora i giudici hanno sollevato nuovamente la questione di costituzionalità non potendosi però più appellare al diritto internazionale, perché dopo la sentenza di Strasburgo è ormai chiaro che la competenza è del legislatore nazionale.
Sul divieto di ricerca scientifica contenuto nella legge, anche in questo caso si tratta di una scelta compiuta a suo tempo dal Parlamento che risulta coerente con il resto della disciplina. Infatti, la normativa riconosce l’embrione come soggetto degno di tutela (articolo 1) e, per non ridurre tale premessa a vuote parole, ha stabilito nel seguito del testo il divieto di usarlo per esperimenti. Questa scelta è in linea con quanto sottoscritto da oltre 1 milione a 800mila cittadini europei con la campagna «Uno di noi» (600mila le firme italiane), che ha confermato la sensibilità dell’opinione pubblica per il rispetto dell’embrione. La previsione della legge 40 risulta oggi ancora più attuale del 2004 secondo Giandomenico Palka, ordinario di Genetica alla facoltà di Medicina dell’Università di Chieti e responsabile del Servizio di Genetica umana dell’Ospedale Civile di Pescara: «La ricerca sulle embrionali oggi è superata dalla scoperta delle cellule staminali pluripotenti indotte (Ipsc), derivanti da cellule somatiche adulte che vengono riprogrammate – spiega –. Sia queste cellule, sia quelle embrionali risultano essere legate all’insorgenza di tumori. Le sperimentazioni finora compiute dimostrano la loro grande capacità di differenziazione in varie cellule dell’organismo ma, per le limitazioni che hanno, al momento non possono essere usate a livello terapeutico. Oggi in quasi tutto il mondo la ricerca si sta concentrando sulle Ipsc perché risultano essere più interessanti dal punto di vista dei risultati e non comportano la distruzione di embrioni umani».
Il terzo aspetto, legato al secondo, su cui dovrà pronunciarsi la Corte è relativo alla revoca del consenso all’impianto, quindi alla diagnosi preimpianto e alla conseguente grande quantità di embrioni che sarebbero disponibili per la ricerca. Oggi la legge 40 prevede che l’assenso della coppia avvenga prima della creazione dell’embrione e, in seguito, può essere revocato solo per cause di forza maggiore o rischi di salute per la donna. Ora si punta a eseguire la diagnosi in modo da valutarne prima lo stato di salute ed eventualmente scartarlo. «La diagnosi preimpianto – aggiunge Palka – è nata negli anni ’90 ed è molto difficile da eseguire, non può essere vista come la soluzione a tutti i problemi di salute dell’embrione. Sebbene ci siano molti interessi economici in gioco, richiede personale altamente qualificato ed è una tecnica efficace soltanto per alcune patologie. E poi, chi potrebbe accedere a questo tipo di analisi? Ma soprattutto, questa tecnica comporta una quantità immensa di embrioni umani che vanno perduti. Credo che molto dipenda dal tipo di cultura che vogliamo seguire. Queste scelte competono al legislatore, non ai giudici».
La fissazione dell’udienza da parte della Consulta è un atto dovuto secondo Marcello Fracanzani, ordinario di Diritto pubblico all’Università di Udine, «per evitare rimpalli sulla decisione, ma di per sé non è indicativo di niente. La Corte potrebbe decidere in tre modi: dire che per la questione del consenso si debba fare riferimento a quanto stabilisce la Corte di Strasburgo; dichiarare l’incostituzionalità della norma; oppure rigettare i ricorsi, affermando che una volta avvenuta la fecondazione, sia assistita sia naturale, il dissenso alla gravidanza sia regolato dalla legge 194, equiparando le due situazioni».