Oggi la Giornata della Sindrome. Down: più ricerca, meno «selezione»
La ricerca sulla Sindrome di Down ormai da tempo si focalizza sulla diagnosi prenatale, soprattutto con il fine dell’aborto selettivo, e trascura le possibili cure per migliorare la vita delle persone. I finanziamenti sono sempre più risicati e le poche ricerche rischiano di scomparire, malgrado i risultati promettenti. Si minano le concrete speranze di riuscire a ridurre le difficoltà legate all’anomalia genetica più diffusa e che coinvolge un bambino ogni 700 nati, per una stima nazionale di 38mila persone (6 milioni in tutto il mondo).
Eppure, esattamente sessant’anni fa lo scopritore della Sindrome era animato da intenzioni ben diverse: «La troveremo. È impossibile che non riusciamo a trovarla. È un’impresa intellettuale meno difficile che spedire un uomo sulla Luna. Se trovo come guarire la trisomia 21, allora si aprirà la strada verso la guarigione di tutte le altre malattie di origine genetica». Jérôme Lejeune – di cui è in corso la causa di beatificazione – era uno scienziato rigoroso, che ebbe intuizioni "futuristiche": nel 1959, quando la mappatura del genoma umano era ancora impensabile, comprese che la sindrome è dovuta alla presenza di tre copie del cromosoma 21 (da cui trisomia 21) anziché due.
A una sua lezione, negli anni Ottanta, era presente anche un giovane universitario al quinto anno di Medicina, che trent’anni dopo ha deciso di portarne avanti le intuizioni. Oggi Pierluigi Strippoli è professore associato di Biologia applicata e responsabile del laboratorio di Genomica del Dipartimento di Medicina specialistica, diagnostica e sperimentale all’Università di Bologna, diretto da Mauro Gargiulo. Con i moderni strumenti della genomica ha potuto confermare le intuizioni di Lejeune, nel progetto clinico-sperimentale più grande a livello nazionale, coinvolgendo 180 bambini: «Lejeune – spiega Strippoli, nella Giornata mondiale sulla Sindrome di Down, che si celebra come ogni anno il 21 marzo – era convinto che la disabilità intellettiva derivasse dall’intossicazione delle cellule cerebrali causata dall’azione del cromosoma in eccesso e pensava che solo una piccola parte del cromosoma stesso ne fosse responsabile. Effettivamente è così».
Grazie alle conoscenze sulla mappatura del genoma umano e con un’attenta analisi di casi rarissimi presenti nella letteratura medica, insieme al genetista Marco Seri dell’Unità di genetica medica dell’Ospedale Sant’Orsola di Bologna, è stata delimitata la piccolissima "regione" associata alla Sindrome di Down, che rappresenta soltanto un millesimo dell’intero cromosoma 21. «Poi in collaborazione con Guido Cocchi e Chiara Locatelli, dell’Unità di neonatologia diretta da Giacomo Faldella, abbiamo studiato plasma e urine di decine di bambini. Con i dosaggi di Paola Turano, del dipartimento di Chimica dell’Università di Firenze, abbiamo appurato il disturbo metabolico, esattamente nella proporzione che ci si sarebbe aspettati seguendo le intuizioni di Lejeune». Il lavoro va avanti, anche con l’intervento degli psicologi Silvia Lanfranchi e Renzo Vianello dell’Università di Padova, che stanno conducendo test sulla correlazione tra anomalie di metabolismo e abilità intellettive: «L’obiettivo adesso è stabilire il nesso diretto e arrivare a ipotizzare una semplice terapia metabolica. Finora nessuno ha mai proposto un’azione diretta e mirata. Se la trovassimo, potremmo permettere ai neuroni di riprendere un’attività adeguata».
Una "cura" per ridurre gli effetti sulla persona e per aiutarla nella sua vita quotidiana, agli antipodi dell’opinione prevalente nella comunità scientifica e nella società, che investono sull’identificare l’alterazione prima della nascita. «In media – spiega Strippoli – per ogni articolo scientifico su possibili cure o miglior comprensione della Sindrome ne vengono pubblicati almeno dieci sul miglioramento della diagnosi prenatale. La ricerca si è concentrata sul trovare marcatori più precisi per identificare le gravidanze con trisomia 21 e questo ha diminuito l’attenzione verso chi si propone invece di trovare cure».
La ricerca di Strippoli è un progetto universitario, i costi si aggirano sui 100mila euro l’anno (metà destinati a borse di studio). Una cifra contenuta rispetto agli standard internazionali: «Eppure continuiamo ad avere grandi difficoltà di finanziamento, perché evidentemente suscitiamo poco interesse a livello istituzionale».
Per il 90% la ricerca si sostiene con i fondi da donazioni private da parte di fondazioni, aziende, associazioni, famiglie. «Siamo commossi – conclude Strippoli – per la considerazione e l’affetto di chi crede in noi, e per aiutarci organizza persino autoraduni, cene o spettacoli teatrali (cito per tutti Guido Marangoni). Va fatto sapere che nella Sindrome di Down la disabilità cognitiva è meno grave di quanto ci si immagini. Il bambino spesso capisce molto più di quello che riesce a esprimere, e ha grandi potenzialità. Il nostro lavoro, come diceva Lejeune, consiste nel cercare di stare vicino al bambino e di combattere la malattia, che, per cause organiche, ne limita autonomia e capacità».