Vita

Legge 40. Dopo l’eterologa, tocca agli embrioni di scarto

Emanuela Vinai giovedì 9 ottobre 2014
​Ancora una volta, la Legge 40 finisce sul banco degli imputati. Sotto accusa è il divieto di diagnosi preimpianto in una coppia fertile. Due coniugi, di cui uno affetto da una grave patologia genetica ereditaria, accedendo a un percorso di Pma presso la Clinica Mangiagalli di Milano hanno chiesto di poter effettuare anche una diagnosi genetica preimpianto. A fronte della risposta negativa, la coppia si è recata in Grecia dove, pur spendendo oltre 10mila euro comprensivi di selezione embrionale, ha visto disattesi due tentativi di fecondazione. Ora la coppia si è rivolta al Tribunale di Milano chiedendo tre adempimenti: innanzitutto di ordinare all’ospedale di eseguire, direttamente o a proprie spese, la prestazione sanitaria richiesta; in secondo luogo, il rimborso delle spese sostenute; e infine l’invio degli atti alla Corte costituzionale sollevando questione di legittimità costituzionale sugli articoli 1 e 4 della legge 40 affinché il diritto alla diagnosi preimpianto, oltre che alla fecondazione assistita, sia esplicitamente garantito anche alle coppie portatrici di patologia genetica oltre che a quelle sterili o infertili. Nelle motivazioni si rileva come «il rifiuto di applicare le tecniche connesse alla fecondazione in vitro e, nel caso di specie di diagnosi sull’embrione pone la coppia stessa di fronte all’alternativa di dover rinunciare alla genitorialità con grave lesione di diritti costituzionalmente tutelati, non risultando inoltre tutelato il diritto alla salute e alla vita del nascituro».
Resta un mistero come si possa garantire la salute e la vita del nascituro scartandolo se non lo si ritiene adatto. L’accesso alla diagnosi preimpianto dell’embrione per le coppie non sterili ma portatrici di malattie genetiche è un percorso battuto da tempo che prende l’avvio dal divieto di selezione tout court. I precedenti riguardano le pronunce di singoli tribunali: nel 2007 il Tribunale di Cagliari e il Tribunale di Firenze, il Tribunale di Bologna nel 2009 e il Tribunale di Salerno per due volte nel 2010. Nel 2008 il Tar del Lazio annulla le linee guida ministeriali che ricalcano quanto sancisce la legge 40/2004 nel punto in cui prevede che l’indagine sugli embrioni possa essere soltanto di tipo osservazionale. Nel 2012 il Tribunale di Cagliari ordina al laboratorio di citogenetica dell’ospedale Microcitemico di eseguire l’indagine diagnostica o di utilizzare strutture esterne a seguito della fecondazione in vitro della coppia infertile ricorrente. Anche la Corte europea dei diritti dell’uomo è intervenuta in materia con il caso «Costa e Pavan», rilevando una discriminazione rispetto alla possibilità di far ricorso alla diagnosi prenatale e quindi, eventualmente, all’aborto. Infine, a gennaio scorso, ha ottenuto un rinvio alla Consulta dal Tribunale di Roma anche un’altra coppia non sterile dove però la donna è portatrice sana della distrofia muscolare Becker e si è vista opporre un rifiuto dal centro cui si era rivolta per selezionare un embrione sano. Infatti, nonostante le sentenze intervenute in questi anni, restano ancora alcuni divieti fondamentali della Legge 40 relativi alla fecondazione artificiale come il ricorso all’utero in affitto, la compravendita di ovociti e la selezione degli embrioni.
Il rilievo di incostituzionalità presentato dal Tribunale di Roma, in attesa di pronuncia, si basa sulla tesi che la Legge 40 confligge con il principio costituzionale di uguaglianza attraverso «la discriminazione delle coppie fertili portatrici di malattie geneticamente trasmissibili rispetto a quelle sterili». Le pressioni che si moltiplicano per garantire l’accesso alla provetta a coppie fertili ma portatrici di problemi genetici aprono due fronti ugualmente insidiosi. Da un lato, una volta dischiusa la strada alla selezione degli embrioni sulla base di possibile rispondenza a una malattia genetica, tra le migliaia di malattie genetiche ereditarie e che comportano conseguenze di gravità variabile, di quali sarà proibita la ricerca e l’individuazione? Quante e quali patologie invece potranno essere soggette a screening? E in ballo rischia di esserci la questione dei diritti procreativi delle coppie omosessuali. Infatti, secondo la sentenza di aprile con cui la Corte Costituzionale, aprendo a gameti esterni alla coppia, ha anche sancito il diritto "incoercibile" a un figlio, il gioco a incastri si completerebbe con l’accesso onnicomprensivo alle tecniche di Pma anche a coppie fertili ma nell’impossibilità di procreare. Se si arrivasse a sentenza favorevole la nozione di sterilità diverrebbe necessariamente più ampia. E chi è nella maggiore impossibilità più di una coppia di persone dello stesso sesso?