Vita

Il caso. Sangue: record storico di donazioni. E allora perché c'è carenza di plasma?

Enrico Negrotti lunedì 29 aprile 2024

Sacche di plasma al Policlinico di Bari

La domanda di farmaci plasmaderivati in Italia è cresciuta più della raccolta di plasma, e quindi l’autosufficienza nazionale (raggiunta per la raccolta di globuli rossi) è più lontana, nonostante i numeri record delle donazioni registrati nel 2023.

Sono i dati diffusi al convegno internazionale dedicato alla fornitura di prodotti medicinali plasmaderivati nel futuro dell’Europa (The supply of plasma-derived medicinal products in the future of Europe) che si è svolto a Roma, organizzato dal Centro nazionale sangue (Cns) e patrocinato dal ministero della Salute.

«La mancata autosufficienza di medicinali plasmaderivati resta un problema strategico per il sistema sanitario nazionale – osserva il direttore del Cns, Vincenzo De Angelis –. I dati, per quanto ancora preliminari, confermano la necessità di aumentare la raccolta attraverso azioni di sensibilizzazione rivolte ai possibili nuovi donatori».

La raccolta complessiva di plasma nel 2023 ha raggiunto gli 880mila chili, mai ottenuti negli anni precedenti, grazie alla generosità di più di 1,5 milioni di donatori. Tuttavia è stato coperto solo il 62% dei consumi globali rispetto al 64% dell’anno prima.

La prima causa, segnala il Cns, è stato l’aumento della domanda di immunoglobuline (da 104 a 108 grammi ogni mille abitanti), mentre è calata quella di albumina, rendendo quindi possibile coprire il 78% della domanda rispetto al 72% del 2022.

Rispetto alla “classica” donazione di sangue intero, quella di plasma non è meno importante per le necessità dei pazienti e del Servizio sanitario nazionale (Ssn). «Quando una persona dona sangue intero – riferisce De Angelis –, quel sangue viene diviso nei suoi componenti essenziali: i globuli rossi per la cura delle anemie, le piastrine per la cura delle piastrinopatie e delle emorragie, e il plasma».

Molteplici utilizzi

Il plasma viene destinato alla lavorazione delle industrie, pagate per produrre medicinali di uso ospedaliero che esse restituiscono al Ssn, ma non basta. Si deve aggiungere plasma raccolto appositamente «tramite una procedura – spiega De Angelis – che si chiama plasmaferesi, perché porta via al donatore solo plasma, mentre il resto (globuli rossi e piastrine) gli viene restituito. Lo stress per il donatore è inferiore, tanto che si può effettuare una donazione di plasma ogni 15-20 giorni, fino a un massimo di 20 l'anno, anche se la procedura è più lunga di quella di sangue intero (30-40 minuti rispetto a 15)».

Pochissimo plasma è destinato alla trasfusione nei pazienti, la quasi totalità viene inviato alle aziende: «Dalla lavorazione del plasma – continua De Angelis – siamo in grado produrre una ventina di principi attivi usati in terapia. I più richiesti sono le immunoglobuline, l’albumina e i fattori della coagulazione».

Le prime «che contengono la storia del nostro sistema immunitario (cioè la somma degli anticorpi che abbiamo prodotto nella nostra vita), sono destinate – aggiunge De Angelis – a chi non ha anticorpi o ha smesso di produrne o ne produce pochi: soggetti in chemioterapia, trapiantati, o con difetti congeniti del sistema immunitario».

Invece «l’albumina viene utilizzata in tutte le malattie epatiche, cioè quando il fegato, primo organo deputato a produrla, risulta insufficiente a farlo in maniera corretta». Dopo immunoglobuline e albumina seguono i fattori della coagulazione: «Soprattutto il fattore VIII per l’emofilia A e il fattore IX per l’emofilia B. Ma anche gli inibitori della coagulazione e molti altri fattori che possono essere carenti a causa di patologie diverse» puntualizza De Angelis.

Quanto servano questi prodotti derivati dal plasma è illustrato da alcuni dati. «Se a un anemico cronico, come il talassemico, che è in terapia con trasfusioni di globuli rossi – precisa De Angelis – possono servire fino a 20/30 trasfusioni l’anno, un paziente affetto da immunodeficienza, per vivere sano, ha bisogno di farmaci derivanti da almeno 150 donazioni di plasma, e un emofilico da 1.300».

Una risorsa strategica

Chiarita la grande “fame” di questi prodotti, De Angelis sottolinea che «bisognerà anche razionalizzare la domanda, specie di un prodotto come le immunoglobuline che sta trovando sempre più applicazioni a livello terapeutico».

Quanto sia strategico non dipendere dagli acquisti di plasmaderivati sul mercato internazionale è emerso chiaro durante il periodo Covid: «In Europa il plasma che importiamo viene dagli Stati Uniti – riferisce De Angelis –, dove si raccoglie molto di più perché le persone vengono pagate e la frequenza dei prelievi è molto più alta di quanto non sia lecito in Europa».

Durante la pandemia però la raccolta di plasma «negli Stati Uniti è calata del 30% (da noi solo del 2%), e quindi si è ridotta anche l’esportazione, e gli europei si sono trovati in difficoltà». Quindi «in accordo con l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) abbiamo dovuto definire le liste delle priorità tra i pazienti, scegliendo chi non poteva rinunciare a questi plasmaderivati e chi, per un breve periodo di tempo, poteva ricorrere a terapie alternative, magari un po’ meno comode o efficaci, ma tali da non comprometterne lo stato di salute».

Obiettivo autosufficienza

L’autosufficienza nazionale è quindi un obiettivo che permetterebbe di non soffrire in caso di crisi internazionali, perché «il nostro sistema basato su donatori volontari, anonimi e non remunerati ha mostrato di essere sano e di reagire bene».

Lungi dall’essere una donazione di minor valore, la plasmaferesi sconta però alcune criticità. «Innanzi tutto è meno conosciuta perché – evidenzia De Angelis – si è iniziato a parlarne in tempi relativamente recenti e all’inizio sembrava una cosa strana, ma dove si è fatta buona informazione i risultati arrivano: in Friuli-Venezia Giulia quasi la metà del plasma raccolto viene dalla plasmaferesi. E ci sono categorie di persone a cui non farebbe bene donare sangue intero, e con la plasmaferesi non perdono globuli rossi e ferro».

Poi ci sono alcuni problemi organizzativi: «Oltre alla maggior durata, la plasmaferesi richiede una macchina che non è presente in tutti i punti di prelievo, ed è necessaria la prenotazione. Anche per le unità mobili che si stanno diffondendo».

«Dove informazione e organizzazione sono state implementate – conclude De Angelis – la raccolta di plasma è aumentata significativamente». Come del resto dimostrano i risultati del 2023, anche se la strada per l’autosufficienza pare ancora lunga.