Vita

Il confronto. Le professioni della salute "cercano" la Chiesa

Francesco Ognibene giovedì 18 maggio 2023

Il confronto tra le professioni sanitarie e il segretario Cei Baturi

Forse neppure il Ministero della Salute riesce a riunire quasi tutte le professioni sanitarie a discutere insieme sul senso del proprio servizio, com’è invece riuscito ieri al Convegno nazionale di Pastorale della Salute, organizzato dall’Ufficio Cei, che si chiude oggi a Bari. Sei rappresentanti di altrettante sigle tra ordini e categorie, per un totale di oltre un milione e 200mila operatori, al centro il segretario generale della Cei monsignor Giuseppe Baturi ad ascoltarli, prendere appunti e a proporre, al termine di due ore serrate di considerazioni sulla sanità e la salute, il punto di vista della Chiesa italiana. Che anche visivamente, nel palco davanti a 200 delegati da decine di diocesi, si pone come interlocutrice autorevole e credibile perché mostra di voler intendere bene la voce di chi si spende nella sua stessa missione “sanante”, quand’è davvero umana.

Alle domande del mondo della salute la Chiesa, spiega Baturi, «propone un Sofferente da guardare, Gesù Cristo, che è insieme medico e medicina, e aiuta a vivere la malattia e la stessa morte in un orizzonte di senso. Non basta offrire tante “buone opere”: nella sofferenza esplodono le grandi domande, in gioco è chi è l’uomo, e chi è Dio, nella fondatezza di una speranza sul nostro destino». Offrendo il modello del Samaritano (“anche tu fa lo stesso”), il Signore indica di aver cura della persona bisognosa di tutto: per questo «la società si fonda sulla sua capacità di farsi carico dei più fragili, e così la stessa Chiesa».

Quattro le strade: «Saper ascoltare l’uomo sofferente e aiutare la sua famiglia a prendersi cura di lui; farsi “malati con i malati” coltivando la relazione, sul modello di Gesù che sanava sempre dentro un incontro personale; portare a sistema le buone pratiche e le reti solidali, perché la differenza la fanno le persone che sanno andare oltre il loro dovere, come ci ha ricordato la pandemia; nella comunità cristiana non delegare la cura ad altri, perché nella salute, che riguarda tutti, è coinvolta profondamente tutta la vita». Non è, questa, una parola estranea ai tecnicismi sanitari: perché se c’è un punto sul quale convergono le analisi delle espressioni professionali del mondo sanitario è proprio la domanda incombente su come gestire l’intreccio sempre più complesso tra crescenti attese di salute e benessere, che premono in maniera formidabile sui persone e strutture, tecnologie mediche sempre più sofisticate e costose, ma salva-vita, e sostenibilità di un Sistema sanitario tanto universale quanto in crescente affanno.

Che senso ha oggi la relazione con la persona e il contesto del malato dentro questo scenario? Più volte sono stati gli stessi interlocutori ieri a Bari – moderati da Gianni Cervellera e Monica Di Loreto, che su Tv2000 conduce Il mio medico – a chiederlo apertamente alla Chiesa, che in queste giornate si interroga sul tema sinodale dell’ascolto. Di «professione in crisi» parla senza mezzi termini il presidente della Federazione degli Ordini dei medici Filippo Anelli. «Ci siamo illusi che la tecnologia risolva i problemi, prescindendo dal disagio umano che la malattia genera. È decisivo ricordare che la comunicazione col paziente è tempo di cura, come dice oggi anche la legge». Se sa dar vita a questo, il medico «può essere, come deve, il presidio di diritti costituzionali, come la vita, l’uguaglianza, l’ambiente salubre, oltre alla salute». «Non possiamo assicurare tutte le prestazioni a tutti i cittadini se prosegue il declino demografico – ha chiarito un preoccupato Giovanni Migliore, presidente Fiaso (dirigenti di aziende sanitarie) –. C’è la concreta prospettiva di un impoverimento di salute. Vanno rafforzate le reti di prossimità sul territorio mentre si mette sotto controllo la domanda ».

La questione della sostenibilità del sistema è acutamente avvertita: «L’equo accesso alle cure non è più garantito, anche per effetto della forte aziendalizzazione della sanità – è l’allarme di Diego Catania in rappresentanza delle 18 professioni tecniche sanitarie (155mila addetti) –. Ma non possiamo accettare la selezione della salute in base al reddito, noi dobbiamo essere un baluardo». C’è da chiedersi comunque «quali sono le reali necessità di cura oggi – si è domandato Giancarlo Cicolini per conto della Fnopi (infermieri) –, riorganizzando i modelli assistenziali ma anche intercettando i bisogni assistenziali ancora inespressi». Tutto passa sempre da due gesti: «La comprensione del bisogno e il protendersi verso l’altro – è la riflessione di Piero Ferrante, per conto di 70mila fisioterapisti –. Va rimessa la persona, con la sua corporeità, al centro di un’azione di cura che punta sulla massima prossimità». Che si debba «investire in prevenzione» è infine la convinzione degli psicologi, che con Giuseppe Luigi Palma spingono per «investimenti non solo in strutture ma per individuare tempestivamente le cure adeguate ed evitare sprechi successivi».