Aipas. Suicidio assistito: i paletti per una legge che rispetti la sacralità della vita
Il testo che pubblichiamo è stato elaborato dal Gruppo di lavoro dell’Associazione italiana di Pastorale sanitaria (Aipas) e illustrato nell’audizione presso le Commissioni Giustizia e Affari Sociali-Sanità del Senato nell’ambito dell’esame dei disegni di legge n° 65,104,124,570, e 1083 su “Disposizioni in materia di morte volontaria medicalmente assistita” e altri.
Come Associazione italiana di Pastorale sanitaria – Aipas - auspichiamo che sulla materia in questione non si arrivi a una consultazione referendaria, che per quanto esprima un esercizio di democrazia potrebbe risultare generatrice di posizioni polarizzanti e altamente divisive nonché difficilmente esplicabili nella loro complessità.
Riteniamo che debba essere oggetto di una discussione approfondita che analizzi i vari elementi giuridici, clinici, culturali, spirituali, sociali, economici, etici, bioetici, in gioco al fine di legiferare con una legge, che sarà imperfetta, ma che nella volontà e nel dettato possa rispondere a problematiche delicate e coinvolgenti, divenendo punto di equilibrio e non di una guerra tra fazioni oppure ideologica, ma di una ricerca che coniughi il diritto all’autodeterminazione di ogni persona riguardo la propria esistenza e le istanze di tutela della vita umana sotto gli aspetti biologici, psichici, sociali e spirituali che costituiscono dimensioni fondamentali, della vita, della salute, del percorso di malattia, della cura e del morire.
Perciò ringraziamo per essere ascoltati e qui convocati ad esprimere un parere sulle proposte legislative in essere.
La legge 38 del 2010 (“Disposizioni per garantire l'accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore”) promuove le cure palliative come via concreta di risposta alla domanda di assistenza del malato e dei familiari. C’è legislazione sul fine vita basata anche sulla legge 219 del 2017 (“Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”) nella quale si afferma la possibilità di sospendere i trattamenti quando siano ritenuti sproporzionati.
In Italia si è colmato il vuoto normativo sino a oggi con la sentenza 242/2019 della Corte costituzionale - Caso Cappato e Antoniani - in cui la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 580 del Codice penale nella parte in cui non esclude la punibilità di chi, in presenza di specifiche e determinate condizioni, agevoli l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi. In quella occasione la Consulta stabilì che non è punibile chi aiuta una persona a suicidarsi, purché la persona che chiede di poter porre fine alla sua vita: sia tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale, come la ventilazione meccanica o la nutrizione artificiale; sia affetta da una patologia irreversibile, che non lascia alcuna speranza di guarigione o di miglioramento; soffra in modo intollerabile, sia fisicamente che psicologicamente, a causa della sua malattia; abbia espresso il suo proposito di suicidio in modo autonomo e liberamente formatosi, dopo aver ricevuto tutte le informazioni necessarie sulle sue condizioni di salute, sulle cure palliative disponibili e sulle modalità del suicidio assistito; sia pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, senza subire pressioni o influenze da parte di altri. Anche la persona che assiste il suicidio deve rispettare delle condizioni.
Come Aipas crediamo che la vita sia “dono di Dio”, che si esplica e si dipana in un contesto e in una situazione. Nel caso della malattia, siamo a favore della “proporzionalità dei trattamenti” e contro “l’accanimento terapeutico”, che oggi si definisce meglio con l’espressione “ostinazione irragionevole”.
La Lettera “Samaritanus bonus” della Congregazione per la Dottrina della Fede sulla cura delle persone, nelle fasi critiche e terminali della vita (2020) intitola ad esempio il capitolo V, paragrafo 2 con “l’obbligo morale di escludere l’accanimento terapeutico”. Papa Francesco, nel discorso del 17 novembre 2017 al simposio con la Pontificia Accademia per la Vita e la World Medical Association, faceva osservare come sia doveroso astenersi dai trattamenti quando venga a mancare la proporzionalità. Una linea che si trova nel Catechismo della Chiesa cattolica: l’ultima parola è del malato, nella misura in cui è in grado di esprimersi (par. 2278).
La posizione della Chiesa contro “l’ostinazione irragionevole” dei trattamenti terapeutici (quando la guarigione non è possibile e comunque il decorso è fatale) è diversa da eutanasia e suicidio assistito. Qui occorre tener conto della distinzione tra uccidere e lasciar morire, quando i mezzi terapeutici diventano sproporzionati. Uccidere invece è sospendere mezzi terapeutici ancora proporzionati rispetto alla situazione del malato. Quindi serve una valutazione caso per caso.
Al centro della nostra riflessione c’è la dignità della persona, come diceva Pio XII il 24 novembre 1957: “La vita, la salute, tutta l’attività temporale sono infatti subordinate a fini spirituali”. Un testo fondamentale è il discorso agli scienziati dell’Istituto Italiano di Genetica “Gregorio Mendel” sulla rianimazione e respirazione artificiale (1957). Ed ”Evangelium vitae”, l’enciclica-guida su questi temi di Giovanni Paolo II, nota che la vita “non è realtà ultima ma penultima”. La vita umana intesa in modo riduttivo solo come vita biologica non va “sacralizzata,”. Il fine ultimo della vita umana sulla terra è dato dalla relazione con Dio.
La Chiesa è a favore delle cure palliative (Catechismo, par. 2279) e di un approccio alla malattia che metta al centro la relazione e il malato, non l’accanimento, non l’ostinazione irragionevole, non esaltando l’esclusiva dimensione biologica. Di fatto quando non si può guarire ci si può sempre prendere cura dei malati.
In definitiva la concezione della salute, del vivere, della malattia e del morire sono correlate con la visione integrale della persona nelle sue dimensioni biologiche, psichiche, sociali e spirituali che sono tra loro sempre connesse e formano un tutto integrato. Di questo bisogna tenere conto anche nella elaborazione e concezione di un dettato legislativo in materia di cura, palliazione, fine vita e morire.
La persona non è una monade solitaria, come la si intenderebbe in una concezione individualista che tenderebbe a ridurla alla solitudine dell’autodeterminazione assoluta verso la sola vita biologica, ma essa è al centro di relazioni e caratterizzata dalle sue dimensioni relazionali e dalla libertà che implica sempre l’esigenza di essere responsabili della vita in me e nell’altro in modo indissolubile.
Siamo perciò per un rifiuto dell’eutanasia così come dell’accanimento terapeutico. Riteniamo altresì la necessità di provvedere alle cure palliative e permetterne un reale accesso a tutti coloro che ne abbiano necessità (non in modo ristretto e parziale come spesso avviene sul territorio), come ci sembrano molto importanti le disposizioni anticipate di trattamento comunemente definite "testamento biologico" o "biotestamento", regolamentate dall’articolo 4 della legge 219 del 2017.
Circa la possibilità di sospendere alimentazione e idratazione a pazienti in fin di vita ribadiamo: la difesa del diritto alla vita, soprattutto per i più deboli; la necessaria valutazione dei trattamenti non proporzionati; una maggior cura dei malati; l’accesso reale alle cure palliative in ogni parte del territorio italiano.
Bisogna tenere distinte le attività assistenziali da altri trattamenti. “Non si tratta pertanto di semplici procedure assistenziali e il medico è tenuto a rispettare la volontà del paziente che le rifiuti con una consapevole e informata decisione, anche anticipatamente espressa in previsione dell’eventuale perdita della capacità di esprimersi e di scegliere”. Dunque, la nutrizione e l’idratazione artificiali sono “moralmente obbligatorie in linea di principio ma nella misura in cui e fino a quando dimostrano di raggiungere la loro finalità propria, che consiste nel procurare l’idratazione e il nutrimento del paziente”. Riprendendo quanto affermato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede in una risposta alla Conferenza episcopale statunitense, il vademecum della Santa Sede fa un passo importante riconoscendo la sussistenza di “motivazioni eticamente legittime per sospendere o non integrare l’idratazione e il nutrimento in tre casi: non più efficace dal punto di vista clinico; non disponibile nel contesto sanitario considerato; se comportasse per il paziente “un’eccessiva gravosità o un rilevante disagio fisico”.
Il requisito indicato dalla Consulta e ripreso dagli articoli 2, 3 e 4- del ddl 104 dice che il paziente “deve essere pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”. Vogliamo far presente che sul paziente possono esserci dei condizionamenti dettati da natura ed effetti delle gravi patologie e delle cure che possono incidere sulle capacità di valutazione, giudizio, decisione e scelta dei pazienti stessi. Altrettanto significative possono essere le pressioni di tipo relazionale, economico, giuridico che possono gravare sulle scelte del paziente.
A fronte di queste osservazioni, poniamo l’attenzione su quali azioni e procedure, possano essere messe in atto per verificare e accertare l’esistenza e l’autenticità della capacità di esercizio dell’atto di prendere decisioni libere e consapevoli da parte del paziente. Riteniamo che il paziente, accertata la sua capacità di giudizio e scelta, possa avere più spazio nel processo di valutazione anche attraverso una rappresentanza clinica nel comitato per la valutazione clinica. L’articolo 3 comma 2 letttera A riporta la frase “oppure essere portatore/ice di una condizione clinica irreversibile… che cagioni sofferenze fisiche e psicologiche che la persona trova intollerabili” quale criterio per richiedere il suicidio medicalizzato.
A nostro modo di vedere rimane aperta e problematica la questione delle malattie mentali: alcune tra loro hanno tra i sintomi la ricerca di tentativi autolesionistici e anticonservativi (si vedano depressioni maggiori resistenti al trattamento). Per queste situazioni potrebbe essere prevista una valutazione maggiormente adeguata. Secondo noi il paziente richiedente dovrebbe essere in grado di manifestare una scelta libera e consapevole in maniera chiara, esplicita, univoca e durevole, secondo le sue possibilità comunicative.
La composizione dei Comitati per la valutazione clinica (art.7 del ddl104) da istituire presso le Asl a 180 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, che il Ministero della Salute dovrà istituire e disciplinare, riteniamo debbano essere composti, come dice la proposta di articolo, da figure che si occupino della parte biologica, psichica, psicologica, sociale, giuridica ed etica. Ma in un concetto di salute moderno proponiamo che debbano essere inserite (eventualmente anche su richiesta del paziente per una persona specifica di sua fiducia) figure che rappresentino la dimensione spirituale della cura e dell’assistenza (non necessariamente religiosa, e se religiosa rispettosa della confessione del paziente). Ricordiamo che l’assistenza spirituale accompagna i percorsi di cura del paziente, le sue domande, i dubbi, le sofferenze e le difficoltà attraverso figure scelte personalmente dal paziente o in forza all’istituzione (si pensi agli assistenti spirituali e religiosi degli ospedali e degli hospice). Le competenze richieste non devono far dimenticare la necessaria formazione di tutti i componenti dello stesso comitato di valutazione clinica alle dimensioni etiche e bioetiche della materia di competenza.
Associazione Italiana di Pastorale Sanitaria
Don Isidoro Mercuri Giovinazzo, presidente nazionale Aipas
Don Paolo Fini, direttore dell’Ufficio di Pastorale della Salute-Diocesi di Torino
Cinzia Ceccaroli, funzionario giuridico Consiglio Regionale Marche
Giovanni Donati, chirurgo toracico Asl Regione Valle d’Aosta