Vita

Diritto alla salute. Povertà sanitaria, c’è un’ombra sull’Italia. E agisce così

Enrico Negrotti, inviato a Verona martedì 14 maggio 2024

La diseguaglianza sociale è particolarmente dolorosa nell’ambito della salute, quando cioè a causa della povertà, le persone non riescono a curarsi. E oggi questo accade troppo spesso, come è emerso venerdì 10 maggio all’incontro di Verona dedicato alle povertà sanitarie in Italia nell’ambito del convegno promosso dall’Ufficio nazionale per la Pastorale della salute della Conferenza episcopale italiana (Cei) con la collaborazione di undici federazioni nazionali di professioni sanitarie. E l’impegno degli organismi ecclesiali nel campo della salute è stato attualizzato dall’arcivescovo Giuseppe Baturi, segretario nazionale della Cei in videocollegamento: «Noi possiamo parlare alle organizzazioni pubbliche solo in forza di una passione per l’uomo che ci vede protagonisti come comunità cristiana. Siamo partecipi della sorte di questo Paese: il cui futuro dipende dalla sua capacità di colmare le diseguaglianze e favorire il benessere di ogni uomo». «La povertà sanitaria colpisce centinaia di migliaia di persone in Italia – ha ammesso nel suo videomessaggio il ministro della Salute, Orazio Schillaci – Stiamo riformando il servizio sanitario attraverso il rafforzamento dell’assistenza territoriale e della sanità di prossimità con particolare attenzione alle fasce di popolazione più vulnerabili».
Anche i dati europei, illustrati da Chris Brown, responsabile dell’ufficio dell’Oms Europa per investimento in salute e sviluppo, indicano che in quest’area geografica nel 2022 ben 95,3 milioni di persone erano a rischio di esclusione sociale, circa il 21,6% della popolazione europea.
Sulla situazione italiana si è soffermata la sociologa Ketty Vaccaro, responsabile area welfare e salute del Censis: «Nonostante il Covid, grande stress test, avesse fatto emergere tutti i nodi della sanità, e si fossero moltiplicati le promesse perché la salute e il Ssn diventassero priorità per il Paese, non c’è stato un vero salto di qualità». Dati alla mano ha osservato che «la spesa sanitaria privata rappresenta il 24,4% del totale, mentre era 23,3% nel 2012 e che il finanziamento del fondo sanitario nazionale dal 6,7% del Pil nel 2022 è sceso nel 2023 al 6,3%».
Il peso delle condizioni della salute mentale sono state illustrate da Alberto Siracusano, docente emerito di psichiatria dell’Università di Roma Tor Vergata e coordinatore del tavolo tecnico dedicato al ministero della Salute: «Il disagio, la povertà, provoca solitudine, che a sua volta incide sulla salute mentale». Soprattuto per i più giovani: «Non ci rendiamo conto di quanto pesi la solitudine sul loro sviluppo psichico».
All’evoluzione del concetto di salute e dei suoi determinanti si è riferito Silvio Brusaferro, docente di Igiene all’Università di Udine. «Oggi la salute è anche capacità di adattamento, e dobbiamo fronteggiare cambiamenti inediti, come l’aumento dei centenari, un mondo poco conosciuto anche dal punto di vista patologico, perché le sperimentazioni cliniche non li hanno mai compresi». Occorre «investire sempre più in prevenzione, lo strumento più potente che abbiamo, anche se ha un tarlo: quando funziona non si vede».
Sugli aspetti organizzativi si è espresso il direttore generale della Programmazione e dell’edilizia sanitaria del ministero della Salute, Americo Cicchetti: « Il sistema sanitario contribuisce alla salute ma è collegato a tutto il resto, e i servizi sanitari impattano sul divario di salute, ma meno di altri determinanti. La soluzione non è mettere più soldi, che pure servono, ma avere una correlazione forte e sistematica con che si ottiene in termini di salute: cioè il sistema va reso efficace ed efficiente». E ha ricordato poi che il nostro sistema di welfare è gravato da una spesa pensionistica maggiore di altri Paesi: «Nel 2022 su 559 miliardi, 247 vanno nelle pensioni e 132 nel Servizio sanitario nazionale, più altre voci». Quanto alle differenze tra i territori, ha aggiunto, «stiamo costruendo un percorso con le Regioni per un modello di governance più condiviso e meno negoziato, per portare tutti a un livello migliore. E cambiare anche il modo di allocazione delle risorse non più solo su quota capitaria, per una migliore giustizia distributiva».
«Siamo in uno dei periodi più difficili, gli esiti degli investimenti attuali, anche del Pnrr, li vedremo fra tre anni e mezzo, dalle case della salute alle innovazioni tecnologiche, alle trasformazioni di sistema».