Vita

Il via. Ddl Cirinnà, passa il primo voto

ANGELO PICARIELLO giovedì 11 febbraio 2016
Il ddl Cirinnà supera il primo scoglio. Ma soprattutto supera la prima richiesta di voto segreto, bocciata con un lungo intervento del presidente del Senato Pietro Grasso, che potrebbe valere anche per il prosieguo della discussione, in cui di richieste in tal senso ce ne saranno ancora a decine, anche sul voto finale. L’ostacolo, conclusa la discussione generale, era costituito da una proposta Calderoli-Quagliariello per «non passaggio al voto sull’articolato », con richiesta di voto segreto, per ritornare in aula con un nuovo testo. Proposta ardita, che però fotografa il muro contro muro con cui parte il dibattito, spiazzando le forze al lavoro per arrivare a una mediazione. Una proposta, questa, che recava 74 firme, di tutto il centro- destra (Ap compresa) molte di più delle 20 che bastavano per chiedere il voto segreto. Ma Grasso la bocciava. Premetteva che, alla luce della sentenza della Consulta del 2010, c’è l’esigenza di non entrare nell’ambito dell’articolo 29 (sulla famiglia) ma concludeva che il testo si muove nell’ambito delle formazioni sociali (ossia dell’articolo 2) con implicazioni, quindi, meno 'sensibili', che non motiverebbero il ricorso al voto segreto. Una scelta che mandava su tutte le furie i sostenitori della proposta, convinti esattamente del contrario. «Che brutto inizio!», sbottava Gaetano Quagliariello (ex Ncd, ora alla guida di 'Idea', che oggi formalizza alla Consulta il ricorso contro il ddl per conflitto di attribuzione), accusando Grasso di essersi trasformato da «arbitro», in «partecipante » alla contesa, «anticipando chi ha ragione e chi torto». Alla fine la proposta di non passare alla discussione contava 101 sì e 195 contrari. Di rilievo la compattezza dei senatori M5S tutti contrari al rinvio (compresi i dubbiosi sul contenuto), al pari dei senatori verdiniani. A differenza di Ap, che qualche giorno fa non aveva sostenuto le pregiudiziali di costituzionalità volte a far tornare tornare in Commissione, contando evidentemente sui margini di trattativa aperti dalla proposta di Alfano di stralciare le adozioni. Ma ora, alla luce dell’irrigidimento del Pd, Ap sceglieva di fare altrettanto sul fronte opposto. La seduta pomeridiana si chiudeva così, con la successiva convocazione dei capigruppo da parte di Grasso e la decisione di aggiornarsi a martedì. Perché il Pd ricompatattosi facilmente nel dire no a questa proposta di rinvio della discussione, compatto non lo è per niente. Lo scenario attuale infatti - che non vede decollare la trattativa né nel merito né sul metodo - riporta sul tavolo la proposta del 'canguro' di Andrea Marcucci, che nel fare piazza pulita degli altri emendamenti travolgerebbe anche quelli dei catto- dem sull’affido rafforzato. Uno scenario confuso, in cui tutti hanno qualcosa da perdere. Tutti, tranne la Lega, intestataria di 5mila emendamenti. Ieri a Palazzo Madama si facevano valutazioni, con sfumature diverse, nei diversi partiti, ma coincidenti nell’analisi: il mancato decollo di una seria trattativa (avallata, un po’ tardivamente, dallo stesso Renzi, che ha nobilitato le ragioni di chi ci sta lavorando, specie sull’utero in affitto) ha permesso l’ingresso in scena di un partito, come la Lega, che fin qui aveva mostrato poco interesse sul tema, ma ora fiuta il grande spazio che si apre 'contro' se il testo passasse senza correttivi, così com’è. «Rimettiamo al centro l’interesse dei bambini, con un chiaro no alle adozioni», propone Antonio de Poli per l’Udc. Che è arrivata a minacciare di togliere il suo appoggio al governo, ma ora è lo stesso segretario Lorenzo Cesa ad accreditare i canali di una trattativa ancora aperta. Che potrebbe includere - auspica - non solo l’articolo 5, ma anche altri punti, come il comma 4 dell’articolo 3, che apre anch’esso all’adozione. Tentativo difficile, ma il tempo potrebbe esserci, prima di entrare nella discussione del testo, martedì, e prima del voto finale, che ormai dovrebbe slittare a marzo. «È il momento, questo, di lavorare per salvare il poco che si può salvare del testo e per togliere le insidie più gravi che graveranno sulle generazioni future», è l’appello di Paola Binetti.