Coppie di fatto: è bagarre. E a Milano il percorso del registro che dovrebbe riconoscerle è in preda alla confusione. Nell’aula di Palazzo Marino dove si stanno ancora valutando le posizioni dei diversi gruppi politici, la discussione sull’istituzione del registro delle coppie di fatto accende la polemica fra le fila delle stesse formazioni che rischiano di infilarsi in una strada senza uscita. Una bagarre “trasversale”, fatta di mediazioni incrociate, fuori dall’aula, che ha colpito la maggioranza di centrosinistra legata a un emendamento dell’ala laico-liberale del Pdl.Tutto ruota intorno al concetto di “famiglia anagrafica” che l’esponente del centrodestra Giulio Gallera, insieme ad altri tre colleghi, chiede di sostituire nel testo della delibera con “unione civile”. Accolta inizialmente con parere favorevole dal Pd, dopo una più accurata ed attenta valutazione giuridica del termine è scattato il semaforo rosso. Il cavillo giuridico si è trasformato in un cavillo politico. La cancellazione della parola famiglia porterebbe alla creazione di una sorta di registro parallelo a quello anagrafico. Un registro comunale, sul modello di quello istituito a Torino che piace ai radicali e all’ala sinistra della maggioranza milanese ma che non troverebbe l’appoggio degli esponenti cattolici del Pd, pronta non solo all’astensione, ma addirittura a calare il voto contrario. Un rischio che anche il sindaco Giuliano Pisapia, pur lasciando libertà di voto ai suoi, aveva voluto scongiurare, richiamando all’astensione e non al voto contrario.La questione è stata sollevata dal consigliere e vicepresidente del consiglio, il democratico Andrea Fanzago: «Non vorrei che l’intenzione fosse quella di istituire un nuovo registro, alternativo rispetto a quello dell’Anagrafe». A suo giudizio, il nuovo registro delle unioni civili dovrebbe essere un registro puramente anagrafico «per restare all’interno di un regolamento dello Stato che esiste già».«La modifica in unioni civili (al posto di famiglia anagrafica,
ndr) sgancerebbe definitivamente il registro dall’anagrafe – spiega Marilisa D’Amico, prima firmataria della delibera per l’istituzione del nuovo regolamento – e lo manterrebbe legato al Comune (in questo caso, infatti, si parla di registro comunale)».«Siamo in piena bagarre – aggiunge Fanzago – le conseguenze potrebbero essere di assoluto controllo del Comune». Il registro comunale potrebbe infatti trasformarsi in una scorciatoia per i matrimoni gay.In questo caso «sarei molto, molto perplesso», commenta Fanzago, preannunciando il suo no.Ma un registro comunale, alternativo e diverso rispetto a quello dell’Anagrafe, è esattamente ciò che chiedono i quattro “liberal” del Pdl. Mentre la posizione del centrodestra rimane legata al voto contrario, a prescindere dalle modifiche al testo che gli emendamenti dei diversi schieramenti riusciranno ad apportare. «Si tratta di uno strumento vuoto e inutile» ha ribadito ancora una volta ieri in consiglio comunale, il capogruppo del Pdl Carlo Masseroli. E in riferimento a possibili alleanze con l’ala cattolica del Pd ha fatto sapere che questa «esiste se, come noi, seguono le indicazioni della Curia e votano contro il registro delle unioni civili». Mentre Riccardo De Corato (Pdl) ha già annunciato il ricorso al Tar: «La delibera è restrittiva rispetto a quanto previsto dalle legge anagrafica – ha spiegato – Dunque è illegittima. Il ricorso al Tar è certo».La matassa, insomma, appare ancora più ingarbugliata. E la corsa per il voto finale ancora più insidiosa e a ostacoli.Intanto è cresciuto anche il numero degli emendamenti che l’aula dovrà discutere: da 51 sono diventati 75, depositati da Pdl, Federazione della Sinistra e lista civica per Pisapia. Rimane però ancora una sola seduta utile per l’approvazione del nuovo registro. L’assemblea cittadina tornerà a riunirsi anche domani pomeriggio e, con l’obiettivo voluto dal sindaco e dalla giunta, di arrivare al voto finale entro la pausa estiva (per il momento non è prevista nessuna seduta straordinaria la settimana prossima) la seduta di domani proseguirà ad oltranza, finché non si giungerà cioè al voto finale.