Il teologo. Charlie, simbolo della cultura dello scarto
La resistenza dei genitori di Charlie Gard contro la decisione dei medici del Great Ormond Street Hospital di Londra di sospendere i supporti vitali ha suscitato una grande eco mediatica. Data la rara patologia mitocondriale da cui è affetto, che causa gravi alterazioni metaboliche e che si manifesta con encefalopatia, ipotonia muscolare e insufficienza respiratoria, Charlie, privato di quei supporti, morirebbe in brevissimo tempo, anche se la sua sopravvivenza è insolitamente lunga rispetto ai casi fino a oggi studiati e questo indurrebbe a pensare a una forma con decorso più lento o di minore penetranza.
Esistono situazioni cliniche nelle quali l’insistenza nel praticare trattamenti medici e chirurgici non è ragionevole, o perché del tutto ininfluenti ai fini del sostegno di una vita che ormai si sta spegnendo, o perché sono essi stessi causa di inutile sofferenza. Charlie, però, non è ancora terminale, né – a quanto è dato capire – ventilazione, nutrizione e idratazione artificiali sono per lui tanto gravose da consigliarne la sospensione. Perché, allora, un bimbo anche se gravemente malato e avviato a un esito infausto, dovrebbe essere fatto morire in anticipo sottraendo presidi vitali indispensabili? La paradossale giustificazione della irrevocabile sentenza di morte che ha colpito Charlie è che questo sarebbe il suo «miglior interesse».
Si intravede, dietro questa decisione, un atteggiamento mentale che sta inquinando alle radici la pratica medica, le legislazioni e il sentire diffuso: l’idea che gli esseri umani con bassa qualità di vita, perché segnati dall’handicap o dalla malattia, abbiamo una dignità e un valore inferiore agli altri e che, non solo, sia irragionevole sprecare per essi preziose risorse che potrebbero essere destinate altrimenti, ma che sia comunque irragionevole impegnarsi a sostenerli in vita. È la cultura dello scarto che ha assunto nel protocollo di Groeningen la parvenza della buona pratica medica e di cui il caso di Charlie è diventato simbolo drammatico, con l’aggravante che qui la medicina, rafforzata dalla legge, si è imposta violentemente sulla volontà dei genitori.
Charlie è affetto da una patologia inguaribile, ma inguaribile non significa incurabile. Dove non si può guarire, si può curare e dove le terapie non possono incidere positivamente sulla sorte ineluttabile di un paziente, resta il dovere di accompagnarlo, nel migliore dei modi, sino alla fine. Qui, invece, la mancata tracheotomia, dopo tanti mesi di ventilazione assistita, fa sospettare che l’intenzione di porre termine ai sostegni vitali fosse presente fin dall’inizio nella mente dei medici. Desta perplessità anche il divieto fatto ai genitori di giocare la carta della terapia sperimentale. In un caso disperato come questo, tentare una terapia del tutto sperimentale, ma – a quanto pare – scientificamente non infondata, poteva rappresentare un’ultima possibilità per attenuare la gravità dei sintomi e rallentare il progredire del quadro verso la morte.
Accanto a Charlie i suoi coraggiosi genitori. Essi hanno accolto il loro bambino con amore. Lo hanno circondato di cure. Hanno lottato per la sua vita. Adesso, per ragioni non note, viene negata loro persino la consolazione di farlo morire a casa. Capita purtroppo, nella pratica quotidiana, che i genitori debbano talora arrendersi di fronte alla inesorabilità di una malattia dei loro figli ed è ingrato compito dei medici condurli ad abbandonare speranze illusorie e accettare la realtà, ma in questo caso i due genitori sono stati esautorati da ogni decisione su come e dove e quando lasciar andare la mano del loro bambino. Il loro bisogno di tempo per elaborare è stato travolto dalla volontà di condurre rapidamente a termine la situazione, affrettandone l’esito mortale.
Intorno a questi genitori, sono fiorite la solidarietà e la generosità di molte persone, importanti o sconosciute. Assordante è, invece, il silenzio di tanti profeti della autodeterminazione e di tanti paladini della libertà di cura che si mobilitano con dispiego di mezzi e di argomenti quando si tratta di difendere un asserito diritto alla morte, ma sembrano ammutolirsi quando qualcuno rivendica il diritto alla vita, come se, nelle loro menti, il favor vitae si fosse mutato in un sinistro favor mortis.