Vita

Droga. Cannabis e Cbd: il Tar del Lazio complica le cose. Ma chi pensa alla salute?

Viviana Daloiso mercoledì 11 settembre 2024

Uno dei prodotti in vendita nei cannabis shop

Tutto e il contrario di tutto. C'è un colpo di scena in quello che si annuncia l'ennesimo “balletto” sui prodotti derivati da cannabis e su come vadano considerati per la salute, ciò che non dovrebbe essere oggetto di scontro politico e ideologico ma dato oggettivo e documentato dalla ricerca scientifica.

Il Tar del Lazio ha infatti appena accolto l'istanza cautelare presentata dai legali degli Imprenditori canapa Italia (Ici) contro il decreto del ministero della Salute dello scorso 27 giugno, che aveva inserito le composizioni orali contenenti cannabidiolo nella tabella dei medicinali contenenti sostanze psicotrope o stupefacenti. Quelli che richiedono, cioè, la presentazione di una ricetta per essere acquistati (previa consulenza di un medico) e che possono essere venduti solo in farmacia.

Di cosa stiamo parlando intanto? Del Cbd appunto, cioè di una delle sostanze estratte dalla cannabis sativa insieme al ben più noto tetraidrocannabinolo (Thc), fra i protagonisti fino a poco tempo fa dei prodotti venduti legalmente, a tutti, nei cannabis shop: infiorescenze da fumare, cristalli da fondere e inalare, resine, olii sublinguali, compresse. Sulla differenza tra le due sostanze, Avvenire lo ha scritto più volte, si sostengono cose molto diverse. Chi dei derivati della cannabis cosiddetta “legale” o “light”, leggera, ha fatto il proprio business anche nel nostro Paese sostiene convintamente che il Cbd sia innocuo e utile, capace di curare numerose problematiche di salute (dagli attacchi di panico all’insonnia, dai dolori cronici alle artriti fino all’epilessia) senza nessun tipo di rischio, visto che la sostanza non avrebbe proprietà stupefacenti. Chi tutti i derivati della cannabis, invece, considera dotati di proprietà psicoattive (larga parte del mondo scientifico a dire il vero), capaci cioè di alterare il nostro stato psichico e percettivo, raccomanda che anche sul Cbd ci sia attenzione: non a caso anche questa sostanza presenta effetti collaterali documentati come nausea, vertigini, sonnolenza, danni al fegato e – ciò che più conta, e anche questo è stato dimostrato da studi e recenti pubblicazioni – può influire sullo sviluppo cerebrale dei più giovani.

Le decisioni dei governi precedenti

I governi che si sono succeduti negli ultimi anni sulla cannabis hanno avuto linee differenti, chi più aperturista, chi più restrittiva. Sorprende, però, che il primo decreto sul Cbd e sulla necessità del suo inserimento tra le sostanze stupefacenti sia stata presa nell'ottobre del 2020 dall'allora ministro della Salute di area Pd Roberto Speranza: si parlò della volontà di mettere in ginocchio il settore dell'imprenditoria legato alla canapa e sulla scelta fioccarono critiche, a cominciare da quelle legate a una pronuncia del 2017 dell’Oms che raccomandava come il Cbd non andasse classificato a livello internazionale come «sostanza controllata» e a una sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea proprio del 2020, con la quale si chiariva che un divieto di commercializzazione del Cbd può essere adottato «soltanto qualora tale rischio risulti sufficientemente dimostrato». Finché nel giro di un mese appena l’entrata in vigore della misura venne sospesa: si chiesero ulteriori approfondimenti tecnici da parte delle autorità sanitarie e di Cbd, per un po', non si parlò più.

Il ministro della Salute Orazio Schillaci - Ansa

Il 7 agosto del 2023 è toccato all'attuale ministro Orazio Schillaci tornare sulla questione, con un decreto ministeriale che revocava la sospensione del 2020 e ripristinava l’inserimento del Cbd nella tabella B delle sostanze stupefacenti. Apriti cielo: pochi mesi ed ecco il nuovo dietrofront, col Tar del Lazio che accoglie l'istanza cautelare di sospensione del decreto rilevando che la motivazione del decreto «appare priva della richiesta integrazione istruttoria da parte del Consiglio Superiore di Sanità e non sufficientemente chiara in ordine ai concreti pericoli di induzione di dipendenza fisica o psichica». A questo punto il decreto del giugno scorso, forte degli approfondimenti del Css, oggi nuovamente annullato del Tar del Lazio.

Il cortocircuito col ddl sicurezza

La pronuncia del Tar, per altro, si inserisce (confondendo non poco le acque) in un dibattito politico che negli ultimi giorni è tornato a infiammarsi sul tema della cannabis. Nel ddl Sicurezza all'esame della Camera c'è infatti una stretta decisa in materia con il via libera a una misura contro la coltivazione e la vendita delle infiorescenze anche di cannabis a basso contenuto di Thc «per usi diversi da quelli industriali consentiti»: “sì”, cioè, alla produzione di alimenti, bevande e cosmetici, fibre, polveri, oli o carburanti, “no” alla incontrollata produzione e commercializzazione per uso ricreativo di inflorescenze e derivati nei cosiddetti “cannabis shop”.

Contro la misura si sono scagliate le opposizioni a cominciare da Riccardo Magi di +Europa, convinto sostenitore della legalizzazione con i radicali, secondo cui la sentenza del Tar sul Cbd ora conferma l'«oscurantista ideologia proibizionista» e chiede l'immediato stralcio dell'articolo «che mette fuorilegge la cannabis light». La risposta del Dipartimento non s'è fatta attendere: «Il decreto del ministero della Salute che ha inserito il Cbd nella tabella dei farmaci oggetto di un intervento del Tar del Lazio pubblicato in data odierna, che ha peraltro concesso una sospensiva senza entrare nel merito, non ha alcuna connessione con l'emendamento sulla cannabis all'articolo 18 del ddl sicurezza». Come dire: non cambia nulla. Tranne la mancanza di chiarezza e il gioco di rimpalli su un tema che riguarda la salute delle persone, sia di quelle che utilizzano a livello terapeutico i derivati della cannabis come consentito dalla legge (e che non vanno colpevolizzate), sia di quelle (e ci riferiamo soprattutto ai minori) che pensano di poterle usare liberamente come se fossero acqua fresca perché vendute senza alcun controllo nel negozio sotto casa e spacciate come innocue, “light” appunto.