Vita

Campus Biomedico. Nel regno delle protesi e della “medicina riparativa"

Giuseppe Muoolo domenica 20 ottobre 2024

Il Policlinico universitario Campus Biomedico di Roma

Protesi sempre più realistiche, supporto della robotica negli interventi e nuove scoperte nel campo della rigenerazione delle articolazioni e della colonna vertebrale. La medicina del futuro passa anche dal Campus Bio-Medico. A dirlo è il professor Vincenzo Denaro, direttore scientifico della Fondazione Policlinico Campus Biomedico di Roma.

Professore, qual è il vero impatto della ricerca sulla salute?
La ricerca è il fondamento dei progressi clinici. Il Ministero della Salute ha infatti fondato in Italia gli Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (Ircss), dove la ricerca è strettamente correlata alla clinica. Il Campus Bio-Medico si sta accreditando come Ircss nelle malattie dell’apparato locomotore.

In che modo?
Le nostre ricerche di più grande eccellenza si stanno indirizzando in questo campo per favorire l’invecchiamento attivo. Molte persone di età superiore a 75 anni che hanno superato malattie importanti si ritrovano poi ad avere un motore buono e una carrozzeria che si è usurata. Interveniamo così con la chirurgia sostituiva, andando a rimpiazzare con protesi all’avanguardia le articolazioni (ne realizziamo 2.000 all’anno), in modo da restaurare il movimento e permettere il ritorno a una vita normale, ludica e anche sportiva.

Quali sono le innovazioni di queste nuove protesi?
La medicina protesica è giunta a livelli altissimi sia per i materiali (leghe di titanio), sia per la morfologia delle protesi, che riproduce quanto più possibile quella dell’anatomia umana. In più, ora utilizziamo anche una chirurgia meno invasiva e tecnologie anestesiologiche avanzate che ci permettono di operare soggetti che hanno problemi clinici più importanti.

E come prevenzione che strada indicate?
Ci siamo posti il problema di come evitare che si verifichino queste degenerazioni articolari per sventare l’applicazione delle protesi. Così è nata la medicina rigenerativa, che negli ultimi 25 anni è stata caratterizzata dalla capacità di poter ricostituire le articolazioni con l’utilizzo delle cellule staminali mesenchimali.

Può farci un esempio?

Le malattie che più condizionano la qualità di vita e la capacità lavorativa del soggetto di età medio alta sono quelle della colonna vertebrale. Alla base di lombalgie ed ernie del disco, c’è la degenerazione del disco intervertebrale. Un disco formato da una struttura ricca di acqua che consente di ammortizzare i carichi. Mettendo insieme in laboratorio le cellule staminali mesenchimali con quelle del disco, siamo riusciti ad ottenere il ringiovanimento di quest’ultime. I nostri due grandi gruppi di ricerca sono dunque quello della medicina sostitutiva e rigenerativa. Ma a tutto questo si è associato il progresso di nuove tecnologie come i robot chirurgici.

Ovvero?
Sono macchine che acquisiscono la morfologia dell’articolazione malata attraverso Tac multistrato o con una risonanza magnetica nel caso della colonna. E poi, sulla base delle immagini estratte, indicano al chirurgo il tipo di protesi da utilizzare e come e dove applicarla. La robotica ci fa perdere meno tempo, ci aiuta ad essere più precisi e migliora la qualità di vita post-operatoria del paziente dimezzando il ricovero. Il protagonista dell’operazione rimane sempre il chirurgo, ma con le indicazioni date dal robot.

Qual è dunque il futuro da raggiungere adesso?
C’è un futuro ancora all’orizzonte che riguarda la medicina rigenerativa. Ci siamo accorti che gli stessi effetti positivi delle cellule staminali prelevate dal midollo, si possono ottenere con le vescicole, piccoli frammenti prodotti dalle stesse staminali. Così, anziché andarle a selezionare con tutti i problemi etici connessi, in quanto sarebbe preferibile non utilizzare quelle di altri individui e il loro impiego comporta un’espansione in laboratorio con costi enormi, si è visto invece che è possibile estrarre più facilmente queste vescicole che hanno sostanze capaci di produrre gli stessi risultati. Grazie a questa scoperta abbiamo vinto un premio internazionale insieme ad alcuni colleghi ricercatori giapponesi.