Il caso. Il Bambino Gesù: per Charlie abbiamo fatto il possibile. Ma era troppo tardi
C'è un lato positivo, anche nella vicenda tragica del piccolo Charlie. Per la prima volta su un singolo caso si è mossa la comunità internazionale e questo ci insegna che «se si lavora insieme e si fa sinergia c'è un'opportunità per i tanti Charlie che ci sono nel mondo». Questo l'insegnamento che ci lascia la vicenda del bimbo inglese, per il presidente dell'Ospedale Bambino Gesù Mariella Enoc che, insieme al medico dell'ospedale che ha visitato il piccolo a Londra una settimana fa, ha voluto spiegare nel dettaglio la vicenda.
«Abbiamo fatto tutto quello che potevamo per rispondere all'appello della famiglia e cercare di dare un'opportunità di cura al piccolo Charlie», è così il primo punto fermo messo dall'ospedale pediatrico. Nessun passo indietro sulla opportunità che poteva derivare per Charlie dalla terapia sperimentale con deossinucleotidi e «potrà esserlo in futuro per tutti i malati rari con la stessa patologia o con patologie simili». Purtroppo alla luce della valutazione clinica congiunta effettuata sul posto dal ricercatore e primario di Malattie muscolari e neurodegenerative Enrico Silvio Bertini, insieme con il professore di neurologia della Columbia University Michio Hirano, è emersa l'impossibilità di avviare il piano terapeutico sperimentale, «a causa delle condizioni gravemente compromesse del tessuto muscolare del piccolo Charlie - spiega il medico - compromesso al 90%».
Abbiamo purtroppo constatato di «essere arrivati forse troppo tardi - dicono ancora dall'ospedale - Ma abbiamo fatto tutto ciò che la mamma di Charlie ci aveva chiesto di fare». Ma un risultato lo si è comunque raggiunto: la spina non è stata staccata senza avere prima risposto a una legittima richiesta di cura da parte dei genitori e dopo aver verificato fino in fondo le condizioni del bambino». Ma poi c'è un secondo risultato, continua ancora la presidente Enoc, e cioè che un confronto congiunto internazionale approfondito sia sul piano scientifico che su quello clinico. «Un fatto straordinario per il futuro delle malattie rare», spiega, perché «per la prima volta su un singolo paziente si è mossa la comunità scientifica internazionale. Questa è la vera eredità del caso Charlie: l'impegno a sviluppare concretamente un modello di medicina personalizzata».