L'anniversario. «Difendiamo la vita, non abbiamo paura»
Nella prolusione al convegno per i 10 anni dell’associazione Scienza & Vita, a Roma, Bagnasco ha voluto «fare il punto della situazione sulla strada che rimane da fare e sulle sfide sempre più insidiose che una cultura di morte dissemina sul cammino di tanti uomini e donne, e che finisce per pervadere tutto il tessuto sociale, condizionando le scelte e gli stili di vita». L’ha fatto con un discorso impegnato e denso, col quale ha rilanciato con ampiezza e profondità di argomenti teologici, etici e culturali «l’impegno di sensibilizzazione culturale e di formazione delle coscienze» di Scienza & Vita e di chi si spende per promuovere la dignità della vita in ogni sua fase. Nota l’arcivescovo di Genova che «a ben poco serve una legge – lo vediamo ogni giorno – se non esprime una consapevolezza pubblica e condivisa sul valore della vita e la dignità di ogni persona». È quest’opera di «sensibilizzazione» il «compito» di Scienza & Vita dieci anni dopo la campagna referendaria sulla legge 40 (allora era attivo un Comitato dal quale dopo il voto nacque l’associazione, oggi presente in ben 108 realtà locali). Un cantiere ancora più che aperto: «È un'opera mai pienamente realizzata ma attuata solo in minima parte – sostiene infatti Bagnasco –. Richiede per questo da parte nostra determinazione, umiltà e spirito di sacrificio. Ogni giorno affacciano nuove teorie e pratiche contrarie alla vita, sintomi di una malattia spirituale profonda che affligge il nostro tempo».
Alla radice di questo male oscuro c’è la «prospettiva utilitaristica o edonistica» in forza della quale ci si convince che «anche la produzione di embrioni e le pratiche legate alla fecondazione artificiale siano da considerarsi buone», specchio della concezione «errata» per cui sarebbe «moralmente buona ogni azione che va a vantaggio dell’uomo in quanto soddisfa il suo desiderio». Una simile «antropologia che fa da sfondo» a tante decisioni, campagne e idee che circolano oggi, creando grande sconcerto ma lasciando una sostanziale idea di inesorabilità, è ispirata all’idea che «la bontà morale non dipende anzitutto da ciò che concretamente si fa, cioè dall'oggetto dell'atto umano, ma dalle conseguenze finali, dall'effetto prodotto». È così, nota il cardinale, «che si viene a giustificare l’aborto». Oggi «tante pratiche lesive della vita sono giustificate con questo procedimento logico il quale, a ben vedere, è contrario alla ragione e non può essere accettato se non con malizia, come non si può senza malizia affermare la bontà dell'aborto, della sperimentazione sugli esseri umani o della distruzione di embrioni».
Bagnasco parla con una nitidezza molto apprezzata dalla platea (oltre 400 persone da tutta Italia, che hanno gremito il Centro congressi di via Aurelia) ha parlato di «una vera guerra» che è «in difesa dell’uomo», ingaggiata per fronteggiare «ideologie che seminano morte e fanno dell’abuso un diritto e della logica del più forte una conquista sociale», una struttura dietro la qualche «ci sta niente di meno – dobbiamo esserne consapevoli – che la potenza di Satana». Il campo d’azione «a favore della vita» oggi «si allarga a dismisura». Ecco l’elenco proposto dal presidente dei vescovi italiani: «Quando il matrimonio è svilito a convivenza o ad accordo provvisorio tra due persone; quando la genitorialità è svincolata dall'amore e dalla fedeltà tra un uomo e una donna; quando la sessualità non è concepita come il vertice della mutua donazione, ma si riduce a strumento di soddisfazione, si compromette la vocazione integrale della persona umana e si fa passare un messaggio che condiziona fortemente le persone e soprattutto le nuove generazioni». Su questo terreno è in atto quella che Bagnasco torna a definire «colonizzazione ideologica», esempio tipico della quale è «la sistematica diffusione, a partire da luoghi che, come la scuola, dovrebbero rappresentare un modello in senso contrario, dell'ideologia del gender», per la quale «il sesso di una persona non le sarebbe dato da ciò che essa è costitutivamente, ma sarebbe oggetto di una libera scelta di ognuno». È l’espressione dell’«idea di una libertà che per essere tale deve essere assoluta, assolutamente autocentrata, separando così la cultura dalla natura e lo spirito dal corpo».
Detto che occorre attenta vigilanza anche sul «fine vita» – «con il diffondersi di un atteggiamento verso la morte che ben rispecchia il senso di proprietà assoluta verso se stessi e il proprio corpo» e «con la pretesa di poter porre fine alla propria vicenda umana quando questa non sia più ritenuta degna di essere continuata» – Bagnasco chiede di non affrontare queste tendenze «in modo ingenuo o superficiale, ma cercando la loro radice, che sta sempre nel pensiero, nella concezione antropologica sottostante», non avendo paura di usare categorie proprie della scienza, di una scienza però che non si creda onnipotente a tal punto da non sottostare a limiti arrogandosi il diritto insindacabile di manipolare l’uomo. Le «regole» e i «criteri» per utilizzare le tecnologie che si vanno affermando per lo strapotere di un certo «scientismo teconologico» devono essere individuate a partire da un «ragionamento sulle finalità. Chi è l'uomo? Dove è diretto? Cosa comporta la sua natura spirituale? Come va favorita la sua fioritura integrale? Come assicurarla a tutti gli individui e non solo ad alcuni? E di conseguenza: quale uso dobbiamo fare degli strumenti che abbiamo fra le mani, al fine di raggiungere questi obiettivi? Fin dove deve spingersi la ricerca? Quali limiti porre al desiderio di gestire e manipolare l'esistenza umana?». Si tratta di «questioni sulle quali si deve ragionare a prescindere dal proprio credo religioso, pur se è evidente che la fede getta su di esse una luce altrimenti non percepibile».
È un «dibattito» che Scienza & Vita deve sollecitare «senza temere di essere marginalizzati o derisi: una madre che difende i figli che ha generato non teme nulla– aggiunge Bagnasco con un’immagine forte – ma è disposta a morire per loro. Così dobbiamo essere noi nel difendere la vita umana, senza temere fatiche e incomprensioni». È questa la strada, conclude il cardinale, per non assistere passivamente al consumarsi delle «terribili conseguenze della biopolitica, dell'arbitrio della politica nelle questioni che attengono la vita umana». Perché oggi come 10 anni fa è «in gioco la vita e il rispetto che le è dovuto».