Vita

Austria. Dopo l'apertura al suicidio assistito, l'investimento sugli hospice

Andrea Galli mercoledì 23 marzo 2022

Il parlamento austriaco

Mentre lo sguardo dell’Europa è fisso verso Est, l’agenda biopolitica di diversi Paesi non si ferma, anzi, e certi cambiamenti rischiano di passare inosservati. L’Austria dal 1° gennaio è entrata nella terra incognita del suicidio assistito. Dopo la decisione della Corte Costituzionale del dicembre 2020, che aveva dichiarato illegittima la punibilità del suicidio assistito perché in contrasto con il diritto all’autodeterminazione, e dopo l’accordo politico sulle modalità di regolare tale forma di morte, ratificato il 16 dicembre 2021, Vienna attende di capire quale sarà l’impatto di questa sinistra novità. Intanto il 23 febbraio il Nationalrat – la Camera dei rappresentanti del Parlamento austriaco – ha votato a larga maggioranza la nuova legge sul potenziamento degli hospice e della medicina palliativa. Per alcuni un modo con cui i partiti di maggioranza – l’Övp in particolare, il Partito popolare austriaco – hanno cercato di attenuare la portata dello strappo di fronte alla propria storia e a una parte del proprio elettorato. Per altri una decisione che ha un valore in sé e può arginare un male voluto da altri. «La decisione della Corte è stata la rottura di una diga, una rottura culturale» ci spiega Gudrun Kugler, classe 1976, parlamentare dell’Övp, da oltre vent’anni impegnata sui temi della vita e della famiglia, «rottura culturale perché il leitmotiv nella nostra società era la vita come bene assoluto, quindi la necessità di un aiuto a vivere, non a togliersi la vita. In quest’ultimo caso aiuto assume un altro significato: si potrebbe quasi parlare di compassione armata. È la rottura di una diga perché l’apertura che la Corte Costituzionale ha causato si allargherà velocemente. L’offerta crea la domanda. Possono seguire altri gradi di liberalizzazione, in molti Paesi vediamo come passo dopo passo si arriva ai bambini, a chi non è in grado intendere e di volere, a chi è stanco della vita, perfino ai carcerati».

Gudrun Kugler - wikimedia

Sono concetti che dal dicembre 2020 a oggi sono stati ripetuti in diverse forme anche dall’episcopato austriaco. Il suo presidente Franz Lackner, arcivescovo di Salisburgo, aveva subito ricordato che «chiunque esprima il desiderio di morire in una situazione di crisi esistenziale come la malattia e la stanchezza non ha bisogno di aiuto per suicidarsi ma di vicinanza umana, sollievo dal dolore, attenzione e sostegno». Gudrun Kugler guarda anche al caso italiano, alla legge in discussione in Parlamento, e aggiunge: «Bisogna capire che il suicidio non è mai una questione privata ma ha delle conseguenze, non solo sui parenti ma anche sulle persone che si trovano in situazioni simili. Quello di cui c’è bisogno è assistenza a vivere, non a suicidarsi».
Assistenza a vivere la vita fino al suo ultimo, umano compimento. Che sarebbe il fine del fondo appena istituito presso il Ministero degli Affari sociali, 108 milioni di euro per il biennio 2022-24 che potranno essere utilizzati dai nove länder del Paese per nuovi hospice, strutture di accoglienza per i familiari dei malati, e servizi di medicina palliativa, affinché le persone malate gravi in una situazione «estremamente vulnerabile» ricevano un sostegno indipendentemente dalla loro situazione familiare, ha sottolineato il ministro della Salute Wolfgang Mückstein (Verdi). Se e come ciò avverrà, in un’Austria che ha comunque inferto un colpo ferale alla protezione della vita più fragile, si vedrà.