Arice (Cottolengo). La lezione di Volo, anencefalico: sei anni, e ci ha insegnato tutto
Padre Carmine Arice con un giovane ospite del Cottolengo
Ho letto e riletto più volte il Messaggio per la 46ma Giornata Nazionale per la Vita del Consiglio episcopale permanente della Cei e ho apprezzato il coraggio e la parresia con la quale i nostri Vescovi hanno annunciato il Vangelo della Vita e denunciato la dis-umanità di una certa ideologia che vuole far passare desideri discutibili come diritti da garantire ad ogni costo. Leggendo le parole dei nostri Pastori mi è risuonato forte quanto papa Francesco ha detto l’8 gennaio al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede per i consueti auguri che rivolge loro all’inizio del nuovo anno: «Osservo con rammarico, specialmente in Occidente, il persistente diffondersi di una cultura della morte che, in nome di una finta pietà, scarta bambini, anziani e malati». Invito a rileggere lo straordinario discorso del Santo Padre nel quale dà voce ai sempre più numerosi “scarti umani” sia per scuotere le coscienze dei potenti e dei profittatori, sia per sottolineare le conseguenze sempre più drammatiche della cultura della morte che ha il suo centro propulsivo in una visione funzionalista e del profitto nell’agire umano.
A ben leggere il Messaggio dei Vescovi di quest’anno è davvero provocatorio e controcorrente, fino ad arrivare a scrivere che «ciascuna vita, anche quella più segnata da limiti, ha un immenso valore ed è capace di donare qualcosa agli altri». Sarà vero? Oppure è un “sarebbe bello che” ma la realtà ci dice qualcos’altro? Per rispondere a questa domanda dobbiamo guardare alla realtà come luogo in cui si narra il possibile, e per questo la mente mi porta all’esperienza che abbiamo vissuto qualche anno fa con il piccolo Volo, nato da genitori ucraini senza fissa dimora che a causa delle sue precarie e gravi condizioni di salute, era anencefalico, faticava ad essere accolto in istituzioni pubbliche e private. Pensavano tutti che la vita di Volo sarebbe stata molto breve, poche settimane o al massimo qualche mese, e così su indicazione dei servizi sociali comunali, sentimmo bussare alla porta del Cottolengo di Trentola-Ducenta (CE) per chiedere la sua ospitalità.
Volo viene accolto con quello sguardo insegnato dallo stesso Cottolengo che riconosce dignità incondizionata in ogni persona, per quanto fragile sia la sua esistenza. Le poche settimane sono diventati sei anni, complicati quanto mai ma straordinariamente intensi in cui la famiglia cottolenghina ha cercato di essere la sua famiglia, convinti che per arrivare a tutti i poveri bisogna cominciare a prendersi cura di quelli che la provvidenza mette concretamente sul proprio cammino senza voltare la testa dall’altra parte. In che senso si può dire che la vita di Volo sia stato un dono grande con «un immenso valore capace di donare qualcosa agli altri»? Umanamente avremmo tanti motivi per dire che la sua esistenza è stata drammatica: un bambino a sei anni corre, grida, parla, gioca, mangia con gusto il cioccolato, fa disperare gli adulti e pensa al suo futuro come la più grande storia possibile. Per Volo nulla di tutto questo. Eppure noi affermiamo che la vita di Volo è stato un dono, un grande dono.
«L’essenziale è invisibile agli occhi», si legge nel noto romanzo del Piccolo Principe! Dobbiamo scendere in profondità per guardare oltre, e come nella notte si vedono le stelle, così nell’umanità ferita di Volo si è creato un varco capace di farci vedere più lontano. Perché la sua vita è stata così fragile è difficile da comprendere nella sua interezza; la sua presenza, però, ci ha detto che la vita non riceve valore dalle sue capacità, dalla sua efficienza, dalla sua apparente utilità. Quel soffio vitale che ha animato la sua vita è lo stesso soffio che anima la vita di tutti noi e dei grandi uomini della storia e imparare ad amare e stimare questa vita significa riconoscere la dignità di ogni uomo, nessuno escluso, come ci viene ricordato non solo dal Vangelo ma anche da nobili dettami come la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo dei quali abbiamo celebrato i 75 anni della sua promulgazione. Con la sua presenza Volo ci ha “costretti” a prendere posizione, a passare dalle dichiarazioni ai fatti.
La vita di Volo è stato una grande lezione di gratuità. Nessuno di noi ha potuto ricevere un grazie dalle sue labbra, ma tutti hanno sperimentato la gioia di farsi dono per lui. Volo ha insegnato che gratuità e gioia vanno insieme e non c’è l’una senza l’altra. Volo ci ha insegnato che più il dono è libero e gratuito più si sperimenta la gioia di essere costruttori di una umanità nuova fondata sull’Amore e non sul profitto. Quanta solidarietà, per non dire amore ha suscitato la vita di Volo tra coloro che lo hanno adottato come fratello minore, forse per umana pietà, ma penso ancor di più per l’assordante e silenziosa domanda di senso dalla quale era difficile scansarsi.
Volo ha anche detto con molta chiarezza che la vita dell’uomo è anche sofferenza e limite e che la sofferenza non è solo incidente di percorso da evitare ma una dimensione dell’esistenza da attraversare, proprio come le gioie e i successi. E infine ci ha ricordato che il limite dell’uomo è sempre un appello all’Eterno, al bisogno di trascendere quanto si tocca e si vede. Grazie all’esperienza di Volo e alla domanda di senso provocata dalla sua estrema fragilità, una coppia che frequentava la nostra struttura decide non solo di non procedere alla separazione ma di generare un altro figlio rendendo omaggio al piccolo principe, come chiamavano Volo, che li ha fatti rinsavire.
Allora è proprio vero quello che scrivono i nostri Vescovi nel Messaggio di quest’anno: «La vita, ogni vita, se la guardiamo con gli occhi limpidi e sinceri, si rivela un dono prezioso e possiede una stupefacente capacità di resilienza per fronteggiare limiti e problemi».
Padre generale Piccola Casa
della Divina Provvidenza