Ucraina. Appelli e petizioni per i 46 figli di madre surrogata a Kiev: stop al mercato
La hall dell'albergo di Kiev in cui sono stati stipati i 46 bebè in attesa di essere "ritirati" da chi li ha ordinati
«La pandemia rivela altre patologie della nostra vita attuale. Una di queste è la maternità surrogata, nella quale delle persone vengono trattate come beni che possono essere ordinati, assemblati e venduti». Nella vicenda dei 46 bimbi ottenuti a Kiev da altrettanti uteri affittati, e parcheggiati in un hotel della capitale in attesa che i loro "committenti" – tra cui diversi italiani – ottengano le autorizzazioni spostarsi, e portarli con sé, prendono ora posizione anche i vescovi cattolici ucraini.
«Ciascun bimbo – si legge in una nota diffusa ieri – ha il diritto di essere concepito naturalmente, di nascere in una famiglia e di crescere in un’atmosfera di amore tra pace e madre». Nulla di più lontano da quanto accade a Kiev, dove un video visibile anche su Avvenire.it mostra al mondo la solitudine di quei neonati ottenuti in serie. Così, a rilanciare l’appello della Conferenza episcopale ucraina è anche la Fafce, la Federazione europea delle famiglie cattoliche d’Europa: «Guardando quelle immagini – scrive il presidente Vincenzo Bassi – nessuno può rimanere in silenzio, e soprattutto oggi (ieri, ndr), mentre celebriamo la Giornata internazionale della famiglia: quei bimbi devono avere una famiglia, e non possono essere trattati come una merce».
Ma qual è la loro famiglia? Non quella costituita dalla o dalle persone che li hanno ordinati, secondo Eugenia Roccella e Carlo Giovanardi, che hanno lanciato una petizione affinché il Governo disponga l’adozione internazionale dei bimbi "contrattati" da italiani. «Nelle difficoltà del momento attuale – scrivono – è urgente occuparsi di questi piccoli senza identità e senza diritti: diamo loro una famiglia, nel rispetto delle leggi dello Stato italiano e di quelle sulle adozioni internazionali». Nel nostro Paese, infatti, la maternità surrogata è vietata dalla legge 40, e chi espatria per comprare un bimbo lo fa con la piena consapevolezza di eludere un’importante norma dello Stato. Al contrario, per essere genitori con l’adozione internazionale bisogna superare seri test attitudinali, nel miglior interesse del minore.
In un lungo post su Facebook, ieri è intervenuto sulla vicenda anche il Commissario del presidente ucraino per i diritti dei bambini, Mykola Kuleba: "La maternità surrogata in Ucraina non è regolata e viola i diritti dei bambini. La commercializzazione di un tale servizio contribuisce alla vendita di bambini ucraini all'estero. La nascita di un bambino lontano dalla madre è innaturale. In questo modo l'Ucraina diventa semplicemente un negozio online internazionale di bambini". Nessuno Stato, prosegue Kuleba, è obbligato a "fornire" alla famiglia un bambino. "Eppure ogni bambino ha un diritto inalienabile ad una famiglia". I bambini che oggi sono in hotel hanno in realtà madri biologiche che si trovano in Ucraina. Ma nel processo di maternità surrogata, "al momento sono rimasti senza genitori". Ancora: "La maternità surrogata è lo sfruttamento delle donne al fine di guadagnare e soddisfare le esigenze degli adulti. Ma viola i diritti del bambino". La conclusione: "Io sono categoricamente contro la maternità surrogata commerciale, è l'oggettivazione di un bambino e posizionandolo come una merce".
La Garante nazionale per l'infanzia, signora Lyudmilla Denisova, ha incontrato gli ambasciatori dei 12 Paesi stranieri coinvolti (Cina, Usa, Italia, Spagna, Gran Bretagna, Francia, Germania, Bulgaria, Romania, Austria, Messico e Portogallo e ha sollecitato il governo a trovare una soluzione, ad esempio prevedendo la possibilità dei genitori intenzionali stranieri di entrare nel Paese, perché se la quarantena dovesse prolungarsi, i neonati potrebbero diventare oltre cento.