Ricerca. Ancora mamme dopo il tumore: l'oncologo che si batte per salvare la fertilità
Matteo Lambertini
«Potrò ancora diventare madre, o le cure che mi salvano dal cancro mi impediranno poi di avere figli?». È l’angoscioso quesito che in Italia si pongono ogni anno oltre 3.300 ragazze colpite da tumore al seno in età fertile: giovani curate con efficaci farmaci di ultima generazione che tante speranze regalano alla cura dal tumore, ma dei cui effetti sulla fertilità non si sa niente. A oggi non esiste risposta e all’oncologo non resta che alzare le spalle impotente, «non ci sono dati, non sappiamo se danneggeranno irreversibilmente le ovaie». Per questo giunge tempestivo lo studio avviato da Matteo Lambertini, 36 anni, ricercatore universitario all’ospedale San Martino di Genova, grazie ai fondi messi a disposizione dalla Fondazione Airc per la Ricerca sul Cancro: «Chi come noi vede tutti i giorni pazienti giovani colpite da carcinoma mammario sa che una delle prime domande che fanno è 'qual è il mio rischio di non poter avere più figli quando avrò finito le cure?'. È un problema di alta rilevanza clinica, che impatta pesantemente sulla qualità di vita di queste giovani donne – spiega Lambertini –. La guerra al cancro sforna a ritmi serrati farmaci sempre più efficaci, ma proprio per questo la ricerca sull’oncofertilità deve correre e definire la loro tossicità. Tossicità ovarica non significa solo impossibilità di restare incinta ma anche menopausa irreversibile precoce, con tutti gli effetti collaterali che questo comporta a una 20enne o 30enne».
Anche lei è molto giovane. Da dove nasce questo suo interesse?
Fin da quando ero studente mi sono occupato di tumore alla mammella quando la diagnosi arriva in età riproduttiva, anche grazie al mio mentore, la professoressa Lucia Del Mastro, che in quegli anni conduceva lo studio Promise, supportato sempre da Airc, e che ha fatto la storia dell’oncofertilità in Italia. Questa problematica, oggi molto sentita, 15 anni fa non esisteva. Il mio percorso nell’oncofertilità mi ha portato a lavorare negli Stati Uniti e poi in Belgio, dove ho fatto il dottorato in un centro di assoluta eccellenza per lo studio dei tumori mammari. Il finanziamento Airc è stato per me la grande occasione per credere nell’Italia e riportare qui un progetto di ricerca che era molto apprezzato all’estero.
Quali sono le nuove armi che abbiamo contro il carcinoma mammario, però potenzialmente 'pericolose' per la fertilità?
Oggi oltre alla chemioterapia esistono i cosiddetti farmaci a bersaglio molecolare, detti anche terapie target (perché vanno a colpire solo le cellule maligne senza devastare quelle sane), o intelligenti. Mi riferisco agli anticorpi monoclonali, ma anche al 'Parp inibitore Olaparib', un farmaco incredibile che a breve sarà approvato per il trattamento delle donne con la famosa mutazione Brca, quella di Angelina Jolie (l’attrice che ha scelto la rimozione di entrambi i seni per prevenire un futuro tumore quasi certo in quanto ereditario, ndr), e ad altre categorie di farmaci che hanno completamente rivoluzionato il trattamento del tumore metastatico e bloccato le recidive. Tra gli anticorpi monoclonali anti-Her2 (una delle forme più aggressive di tumore al seno) ce n’è uno di cui a breve sentiremo parlare moltissimo perché sta rivoluzionando il trattamento del tumore alla mammella. Il suo nome è complicato ma la strategia su cui si basa è semplice: il Trastuzumab Deruxtecan si comporta come il cavallo di Troia, è un anticorpo monoclonale ma dentro di sé trasporta il chemioterapico, che quindi andrà a colpire solo le cellule malate. Sono le nuove frontiere della ricerca e stanno dando ottimi risultati, ma dal punto di vista della fertilità non ne sappiamo assolutamente nulla. Invece per la classica chemioterapia sappiamo da tempo che dà un rischio importante che la paziente entri in menopausa definitiva. È chiaro quindi che per una ragazza, già sottoposta per sei mesi a chemioterapia e poi per un altro anno anche ai farmaci di nuova generazione (fondamentali nel setting guaritivo), è basilare capire quale sarà l’effetto di questo anno di cure supplementari.
Trattamenti precauzionali che per la tossicità delle chemio esistono già?
Sappiamo che il rischio di infertilità da chemioterapia varia molto, a seconda dell’età e del tipo di infusione, ma in genere è dell’80% sopra i 40 anni e del 20% verso i 25 anni. Ma lo studio Promise ha scoperto anni fa un ormone da assumere durante la chemioterapia capace di proteggere le ovaie. Se ora il nostro studio dovesse accertare che anche il Deruxtecan o il Parp inibitore Olaparib impediscono la maternità cercheremo i trattamenti protettivi, anche perché per fortuna i tassi di sopravvivenza nelle pazienti trattate sono sempre più alti grazie all’efficacia delle ultime terapie, per cui oggi il tema della qualità della vita è importante quanto la cura stessa: una ventenne ha almeno 60 anni di vita davanti a sé, e affrontarli in menopausa definitiva, rinunciando a un desiderio importante di maternità, è un grave problema cui grazie ad Airc potremo dare risposta.
Questi sono i 'Giorni della Ricerca', durante i quali Airc raccoglie i fondi in mille modi, anche attraverso l’sms solidale in collaborazione con la Rai al numero 45521 (per informazioni 800350350 e www.airc.it). Fondi tutti italiani, che arrivano direttamente e per intero alla ricerca italiana...
Il comitato scientifico Airc ha un sistema di valutazione dei progetti estremamente selettivo, vincere il finanziamento è molto prestigioso e dà ai 'cervelli in fuga' l’opportunità di rientrare in Italia portando con sé l’esperienza maturata nei centri d’eccellenza all’estero. Averlo vinto è stato il motivo che mi ha persuaso a tornare: a Bruxelles stavo benissimo e lì chi lavora bene viene trattenuto in tutti i modi... In Belgio avevo avviato un progetto di ricerca simile a questo di Genova, e ora li porto avanti in modo complementare, accerchiando lo stesso problema per due strade diverse: a Bruxelles lavoriamo sui topi, al San Martino su tessuto ovarico umano e prelievi di sangue fatti alle pazienti in trattamento oncologico. In attesa dei risultati, questa estate abbiamo già pubblicato sulla principale rivista di oncologia del mondo un altro nostro studio, che ci ha dato un’ottima notizia: se una paziente resta incinta dopo le cure chemioterapiche o ormonali la sua gravidanza sarà sicura sia per lei che per il bimbo. È una novità importante: prima la gravidanza era vietata alle donne guarite, perché si pensava che avrebbe peggiorato la sua prognosi: ora la scienza ha sfatato una leggenda.