Vita

Liverpool. Per Alfie un altro no alla vita

Francesco Ognibene martedì 20 marzo 2018

Non è la fine della speranza, ma purtroppo le assomiglia molto. La famiglia di Alfie Evans, il bambino inglese di poco meno di due anni affetto da una grave forma di malattia degenerativa del cervello ricoverato da mesi all’Alder Hey Hospital di Liverpool, si è vista rigettare dalla Corte Suprema – estrema istanza giudiziaria in Inghilterra – la richiesta di esaminare l’appello contro le decisioni di due tribunali che, accogliendo la richiesta dell’ospedale, hanno autorizzato i medici a staccare i macchinari che gli consentono di respirare e nutrirsi. Ai genitori non resta ora che il ricorso – disperato – alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, che tuttavia nei due recenti casi di Charlie Gard e Isaiah Haastrup ha respinto le richieste dei genitori dei bambini, con la conseguente morte di entrambi. Alfie non è malato terminale, il decorso della sua malattia – comunque letale – non è prevedibile. Ma il distacco della ventilazione, probabilmente inevitabile se anche la Corte europea dovesse negare chance al piccolo, ne decreterebbe la morte per soffocamento (sebbene sotto sedazione) e non per il decorso della sua malattia. Una fine crudele, pur in esecuzione di più sentenze, che i genitori di Alfie, Kate e Tom, stanno cercando di scongiurare. I medici sostengono che proseguire nei trattamenti equivale a sottoporre il bambino a una forma di inaccettabile di accanimento terapeutico, ma – come ha dichiarato in una recente intervista ad Avvenire Sergio Picardo, primario di Rianimazione all’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma riferendosi a casi analoghi a questo – «nel caso in cui è stato instaurato un supporto vitale, cioè un supporto che se interrotto provoca la morte, da noi non viene staccato. Quello che si fa semmai è evitare le cure inutili»: a quel punto «accompagno il bambino e la sua famiglia fino alla fine».