Vita

L’educazione è la questione centrale. Al Giulio Cesare abbiamo perso tutti

Luciano Moia mercoledì 30 aprile 2014
Mettiamo subito le cose in chiaro. Per quanto ci riguarda non intendiamo iscriverci a una battaglia tra oscurantisti e illuministi, tra omofobi e omosessualisti, tra sostenitori della libertà assoluta della letteratura e nostalgici dell’indice dei libri proibiti. Anzi, riteniamo che nella vicenda del liceo "Giulio Cesare" di Roma il gioco perverso dei luoghi comuni e delle speculazioni, abbia distribuito in modo equanime il suo fardello dannoso di strumentalizzazioni pelose e di banalità ad alto rischio. Noi vogliamo seriamente parlare di opportunità educative. E vorremmo farlo guardando serenamente negli occhi quegli insegnanti che hanno scelto di far leggere ai ragazzi quindicenni di due classi della quinta ginnasio il romanzo "Sei come sei" di Melania Mazzucco. Libro intenso e problematico, che può avvincere per il vissuto sofferente dei protagonisti o respingere per la crudezza del linguaggio. In questa vicenda però non è discussione la qualità del romanzo, ma l’opportunità di una scelta.E allora, signori docenti, senza ammantarvi di ideologismi e senza indulgere al politicamente corretto, dite per favore qual era il vostro obiettivo. Davvero eravate convinti che imponendo a ragazzi e ragazze quindicenni di soffermarsi su descrizioni disgustosamente realistiche di un rapporto orale tra due ragazzini, senza esclusione di minuziosi tracciati dei liquidi organici in uscita e in entrata, avreste potuto combattere l’omofobia e la discriminazione? Davvero immaginavate di arricchire lo spirito di alcune decine di adolescenti, la loro capacità critica, il loro gusto lessicale, la loro finezza introspettiva con un romanzo in cui, per esempio, l’educazione affettiva di uno dei protagonisti ha come fondamento un turbine di rapporti mercenari per soli uomini a cui il poveretto offre il proprio corpo «nelle macchine imboscate in losche stradine di campagna». Per rispetto dei lettori non vogliamo aggiungere altre citazioni, ma il realismo descrittivo raggiunge in molti passaggi una crudezza che sorprende e disorienta un adulto, figurarsi un adolescente. Eppure, ripetiamo, qui non è in gioco la qualità del romanzo.Chi ama il genere, è liberissimo di immergersi nella lettura e di apprezzare l’inventiva della scrittrice. Ma un ragazzo di quindici anni ha la maturità e la preparazione per leggere un testo del genere? Per cogliere la fragilità umana dei protagonisti e la complessità dei problemi che si intrecciano – fecondazione assistita, una famiglia con due padri, tra gli altri – senza lasciarsi turbare da un turpiloquio spesso fitto, incalzante e da descrizioni di approcci sessuali tanto esplicite anatomicamente quanto povere di spessore umano? Siete proprio certi, cari insegnanti, di aver offerto in questo modo ai vostri allievi spunti educativi equilibrati e sereni? Non siete mai stati colti dal dubbio di aver forse ceduto alla moda sempre più impetuosa e, questa sì, intollerante, che potremmo definire omosessualismo? Quella tendenza per cui tutti gli spunti, le sollecitazioni, le richieste di apertura che vengono da quel certo mondo devono, comunque e in ogni caso, imporsi per diritto superiore e, di conseguenza, devono essere imposte anche a ragazzi quindicenni con l’autorevolezza e la credibilità che comunque deriva, signori docenti, dal vostro stare in cattedra?Secondo quanto riferiscono alcuni genitori del "Giulio Cesare" il "consiglio" di quella lettura avrebbe suscitato in non pochi ragazzi disagio, disorientamento, qualche momento di profondo imbarazzo interiore. Troppo facile rifugiarsi nella constatazione un po’ banale che «tanto sul web vedono già tutto». Ma è questa la funzione della scuola? Uniformarsi al peggio propinato dalla rete? Adeguarsi al nulla etico che esala dai peggiori siti pornografici? Oppure, compito degli insegnanti a cui affidiamo i nostri figli, dovrebbe essere mediare, filtrare, offrire con delicatezza e prudenza chiavi di lettura commisurate all’età e alla sensibilità dei ragazzi. Di tutto si può e si deve parlare a scuola. Ma con la misura e la sensibilità che a un insegnante dovrebbe derivare dal suo essere adulto responsabile e dal suo dovere di esercitare, al di là del dato biologico, compiti di paternità e di maternità verso i giovani che stanno di fronte per molte ore al giorno. Invece, nel caso del "Giulio Cesare", tutto questo è stato probabilmente capovolto, annullato, persino calpestato. Se soltanto a uno degli studenti quelle pagine hanno avuto l’effetto di un pugno nello stomaco, di una violenza gratuitamente inferta e incolpevolmente subita, la scuola ha perso un’altra preziosa occasione per risultare credibile. I pugni dei violenti contro le persone omosessuali non si combattono così. Con scelte e imposizioni sbagliate. Se è vero che la scuola è, con la famiglia, radice e futuro della convivenza sociale, allora, dobbiamo ammetterlo, abbiamo un po’ perso tutti.