Vita

Separazione. Affido: comitati e associazioni contro il ddl Pillon

Luciano Moia martedì 16 ottobre 2018

Dibattito sempre più acceso sul ddl Pillon che punta a superare la legge 54 del 2006 sull’affido condiviso. Una norma che, dopo aver sancito il principio della pari dignità genitoriale, non avrebbe poi fornito gli strumenti per tradurre nella prassi i buoni propositi annunciati. Penalizzati soprattutto i padri separati sia per gli aspetti economici, sia per quelli educativi. In tanti sono stati costretti a versare assegni di mantenimento superiori alle proprie possibilità. A tanti è stato impedito di vedere i figli, per un combinato disposto dipendente sia dalla volontà delle mogli sia dall’inefficienza dei servizi e dei tribunali, nonostante la disponibilità da parte di questi padri a garantire una presenza attiva per accompagnare la crescita dei propri figli.

Condivisibile quindi il proposito di andare oltre la legge esistente con un provvedimento finalmente in grado di dare concretezza alla pari dignità educativa.

Pur ispirato a questa logica, il ddl 735, primo firmatario il leghista Simone Pillon, avrebbe però carenze tali da rendere ancora più fragile il principio di bigenitorialità, farebbe confusione tra tempi "paritetici" e tempi "equipollenti", sarebbe ispirato da una logica adultocentrica tale da mettere in secondo piano il "superiore interesse del minore", indebolirebbe le madri, più fragili dal punto di vista economico, eliminando assegno di mantenimento e diritto a risiedere nella casa di famiglia con i figli. Oltre alle questioni controverse della mediazione familiare e dell’alienazione parentale.

Queste le accuse più frequenti rivolte al progetto di legge. A chiedere interventi di modifica associazioni familiari, giudici minorili, mediatori familiari, giuristi di vario orientamento culturale. Almeno tre i comitati "No Pillon" sorti per chiedere il ritiro del ddl.

Il primo a Bologna, all'inizio di ottobre, dove nel corso di una manifestazione centinaia di persone, soprattutto donne, hanno sottolineato che il progetto «attacca i diritti civili fondamentali».

Il 5 ottobre poi, nel corso un’assemblea organizzata presso la Camera del lavoro di Milano, presenti i rappresentanti di decine di associazioni, è stato messo in luce che il disegno di legge «incide pesantemente sulla vita e sulle emozioni dei minori, mette a rischio le donne che vogliono uscire da relazioni violente, incrementa il conflitto e allunga i tempi di separazione dei coniugi». Durissimo il commento del giudice del Tribunale di Torino, Giulia Marzia Locati, di Magistratura democratica, secondo cui «la previsione automatica e obbligatoria di tempi di permanenza presso ciascun genitore, svela una concezione del minore quale bene materiale da dividere a metà degli adulti e non considera le esigenza di un bambino».

Sullo stesso tenore il comunicato diffuso dalla Rete nazionale dei centri antiviolenza (DiRe). Mentre a Torino si è costituito un "Comitato per il ritiro della proposta di legge Pillon" che si incontrerà il prossimo 24 ottobre nell’Aula magna dell’Istituto Amedeo Avogadro. Una decina le associazioni pronte a dare battaglia tra cui Telefono rosa e Forum donne giuriste.

Considerazioni negative sulla proposta di riforma dell’affido condiviso sono poi arrivate la scorsa settimana da un convegno organizzato dal Forum delle associazioni familiari a cui hanno preso parte tra gli altri rappresentanti dei Giuristi cattolici, di Scienza&vita e dell’associazione Giovanni XXIII. Sabato prossimo, 20 ottobre, scenderanno in campo i mediatori familiari nel corso di un convegno organizzato a Roma, nell’Aula magna della facoltà valdese di Teologia, a cui è stato invitato lo stesso senatore Pillon. In realtà i mediatori familiari hanno già espresso più di una perplessità. Non piace la pretesa di imporre la mediazione come obbligo perché esisterebbe almeno un 20-30% di coppie ad alta conflittualità che gli stessi esperti considerano «non mediabili». Assoluta contrarietà anche per la proposta di estendere la qualifica di mediatori agli avvocati con almeno dieci cause di separazione in corso.

Anche sul fronte politico però il ddl Pillon non sembra destinato ad avere vita facile. Assegnato alla Commissione giustizia del Senato in sede redigente, una via di mezzo tra sede referente e sede deliberante che permetterebbe al testo di arrivare blindato in Aula, avrebbe il sostegno soltanto della Lega, mentre M5S avrebbe in animo di presentare un proprio ddl. Esisterebbe già – il ddl 782 – e sarebbe già stato depositato ma non ancora pubblicato. Le critiche rivolte nei giorni scorsi alla proposta Pillon da parte del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, il grillino Vincenzo Spadafora – secondo cui il progetto andrebbe «rivisto mettendo al centro l’interesse del bambino» – dimostrano che la maggioranza sul punto è tutt’altro che compatta. In ogni caso i tempi per la discussione si prospettano molto lunghi, anche in considerazione delle oltre cento audizioni di esperti e associazioni già in calendario che prenderanno il via martedì prossimo, 23 ottobre.


INTERVISTA Pillon: «L'assegno di mantenimento resta. No alla logica del genitore bancomat»

Non c’è il rischio che i 'tempi paritetici' stabiliti con rigidità e assolutezza finiscano per equiparare i ruoli di madri e padri rendendoli di fatto indistinguibili?

Il padre e la madre – risponde Simone Pillon – sono portatori di un peculiare e insostituibile tipo di genitorialità e guai a confondere i rispettivi ruoli. Tuttavia è altrettanto importante che il papà e la mamma possano passare quanto più tempo possibile coi loro bambini, perché non è possibile fare il genitore al telefono o via internet, ma è indispensabile la presenza fisica per un congruo lasso di tempo. Certo, la suddivisione dei tempi andrà meglio calibrata tenendo conto delle diverse esigenze che i minori incontrano nelle varie fasce di età, specialmente in fase di allattamento, ma siamo convinti che sia un bene per i minori che anche i papà possano trascorrere tanto tempo con loro fin dalla più tenera età.

C’è il timore che per risolvere il problema dei tanti padri separati finiti in povertà si finisca ora per impoverire le madri togliendo loro l’assegno di mantenimento. Sarà così?

La proposta non tocca in nessun modo l’assegno di mantenimento per il coniuge debole, che potrà continuare a percepirlo ove ne sussistano i requisiti. Circa la questione della casa familiare, il giudice ben potrà continuare a stabilire che il figlio rimanga residente nella casa familiare e potrà anche stabilire quale dei due genitori continuerà a risiedervi, ma le questioni – a differenza di quanto accade oggi – saranno regolate dal diritto civile, tenendo conto del titolo di proprietà dell’immobile. La proposta prevede poi che il mantenimento diretto per i figli sia calcolato su base proporzionale, tenendo anche conto dei lavori di cura familiare sostenuti dai genitori, proprio per bilanciare adeguatamente le due posizioni. È infine previsto anche un assegno perequativo qualora ciò sia indispensabile per riequilibrare le posizioni. Ma non possiamo più accettare che un genitore sia trattato da bancomat e un altro da badante.

Nella relazione introduttiva si menziona un diritto alla relazione che però non può essere stabilito per via giuridica. Perché la scelta di un 'diritto insaziabile'?

Crediamo che nessuno possa seriamente dubitare dell’importanza dei diritti 'relazionali' e particolarmente del diritto del minore a conservare relazioni con i suoi genitori anche dopo la separazione. L’intero diritto di famiglia si sforza di regolare le relazioni tra i familiari. Sostenere pertanto che il diritto alla relazione sia 'insaziabile' è almeno parzialmente sbagliato: infatti come la normativa sul matrimonio regola la relazione coniugale, così la normativa sulla genitorialità può e deve garantire ai figli quegli indispensabili spazi nei quali coltivare la preziosa e ineliminabile relazione del bambino con papà e mamma.