La lettera. Abusi sui minori, operazione trasparenza nella Chiesa
Gentile Direttore
ho letto con un pizzico stupore le parole dell’arcivescovo Lorenzo Ghizzoni, presidente del Servizio nazionale per la tutela dei minori della Conferenza episcopale italiana, sulle pagine di Avvenire di domenica scorsa, 8 dicembre, nell’articolo a firma Luciano Moia.
Partendo dalla critica che l’arcivescovo muove al “Fatto Quotidiano” (articoli di Ferruccio Sansa), le faccio notare che per una corretta informazione e una critica accettabile, sarebbe stato giusto almeno indicare di quale caso stesse parlando.
Si parlava di don Franco Castagneto, di cui la diocesi di Genova, è indubbiamente informata dal 1998 (lo conferma persino monsignor Alberto Tanasini che gestì personalmente il caso all’epoca dei fatti di Sori).
Poi don Franco fu trasferito ad Albaro e, nell’agosto del 2019, appena è riemerso il caso. Questa volta non è più stato spostato. Tra le altre cose, stando a quanto dichiara la stessa diocesi di Genova, attraverso la Cancelleria in data 25-11-2019, a Genova, "non esiste al momento alcuna equipe della commissione minori e persone vulnerabili". Riguardo ai fatti riportati che nell’articolo si definiscono impropriamente scandalistici, sappia che quanto scritto fino ad ora, era solo la punta dell’iceberg,
Riguardo invece alle proiezioni sulla situazione italiana, l’arcivescovo Ghizzoni nell’articolo afferma; “In Italia la stima varia dal 2 al 4%, ma siamo ancora – è il caso di ripeterlo – nel campo delle ipotesi. Ecco perché i grafici pubblicati nei giorni scorsi dal Fatto, con un’improbabile stima delle diocesi "sicure e non sicure", è del tutto inaccettabile”.
Ebbene, solo per doverosissima precisazione, quei dati li abbiamo forniti noi, e i puntini sulla mappa sono tutti casi documentati dalla sola stampa nazionale e, sono sincero, la sola vista fa rabbrividire. Tuttavia, trovo molto scorretto far credere ai lettori di Avvenire che quella cartina con i puntini sia frutto delle proiezioni, che son tutta altra cosa. Le proiezioni del collega Mark Vincent Healy, sono calcolate (in assenza di un dato governativo italiano) sulla base di dati veritieri e frutto di commissioni d’inchiesta governative che riguardano unicamente i sacerdoti, non come avete fatto su Avvenire, dove citate dati generici sugli abusi in generale: come ben capirà, le due cose non sono paragonabili.
I dati delle proiezioni riguardano le commissioni governative di: Australia, Belgio, Canada, Germania, Gran Bretagna, Irlanda, Polonia, Usa. Ebbene, il collega Mark Vincent Healy, sulla base della popolazione cattolica, sulla base dei sacerdoti di quelle nazioni e sulla base delle percentuali restituite dalle commissioni di inchiesta governative, ha fatto una semplice proiezione dell’Italia. Nell’articolo, per evitare figure come questa - rischiando oltretutto di screditare ancor più quello che secondo voi starebbe facendo la Chiesa in materia di abusi - avrebbe dovuto ricordare che ben cinque anni fa, il Comitato per la tutela dell’infanzia delle Nazioni Unite, dato il dilagante fenomeno di abusi sessuali di minori per mano di preti cattolici e i continui insabbiamenti che emergevano in tutto il pianeta, questi ultimi per mano della stessa Chiesa, tra le tante cose, chiese alla Santa sede di quantificare l’entità del fenomeno e sarebbe stato davvero onesto, dire ai lettori di Avvenire, che la Santa Sede neppure rispose a quelle raccomandazioni. Ecco perché non avete i dati.
Perché a febbraio 2019, sempre il Comitato per la tutela dell’infanzia delle Nazioni Unite, ha chiesto la stessa cosa anche all’Italia, che oltre a due precedenti diffide ed un’interrogazione parlamentare, per il momento non ha ancora proferito parola.
Si rivolga quindi al Vaticano e al Governo italiano per questa atroce negligenza, anche noi da anni chiediamo una commissione governativa, non accolli così squallidamente la mancanza di dati ad una associazione di vittime di preti pedofili, non è carino e neppure onesto le pare?
Che dire? Che la Chiesa italiana sia determinata può essere, il dubbio che resta è: su cosa? Noi vittime sono anni che chiediamo giustizia alla Chiesa, ma tranne i pochi di noi che la hanno ottenuta dai tribunali civili e non dalla Chiesa, per tutti gli altri, al momento non credo si possa sperare di trovare grandi entusiasmi.
Con ossequio
Francesco Zanardi
presidente Rete L’Abuso
Gentile signor Zanardi,
il nostro direttore mi invita a rispondere alla sua lettera e ben volentieri torno su un argomento così importante e delicato che sta molto a cuore al Papa e alla Chiesa Italiana. La struttura che i nostri vescovi stanno mettendo insieme per arginare e debellare il fenomeno odioso e intollerabile degli abusi non è – come lei dice – una “nostra opinione”. La rete diocesana, i responsabili regionali, la struttura centrale con una consulta di esperti, autenticamente e profondamente competenti sull’argomento, coordinata dall’arcivescovo Lorenzo Ghizzoni, sono un dato di fatto: prima non c’era nulla di tutto ciò, ora questa macchina complessa si è messa in moto e speriamo possa al più presto essere pienamente attiva in tutte le nostre diocesi. Non torno sui particolari perché sono stati illustrati nel dettaglio nell’articolo di domenica.
Per il resto, nel constatare che la determinazione dei vescovi contro questi episodi è profondamente in sintonia con quanto dice papa Francesco - “ I crimini di abuso sessuale offendono Nostro Signore, causano danni fisici, psicologici e spirituali alle vittime e ledono la comunità dei fedeli” – (Motu proprio, Vos estis lux mundi) che immagino possa essere condiviso anche dalla vostra rete, vorrei chiarire i punti che lei affronta.
Innanzi tutto non c’è alcuna intenzione di minimizzare i fatti di Genova, di cui infatti nell’articolo non contestiamo la ricostruzione, che pure - è necessario ricordarlo - è tuttora in via di accertamento. Sono episodi su cui, siamo certi, che eventualmente l'autorità giudiziria e certamente la diocesi - che ha sempre dato col suo pastore chiari esempi di carità e fermezza in casi del genere - faranno sicuramente piena luce. Le modalità con cui l’inchiesta è stata pubblicata dal quotidiano a cui lei fa riferimento ha però sapore scandalistico – come abbiamo scritto – perché non ha l’obiettivo né di approfondire i motivi dell’accaduto né di indicare possibili soluzioni, ma solo di spargere nuovi veleni. La nostra libera opinione è che questo atteggiamento non è né costruttivo né opportuno, perché finirà solo per aggravare le ferite, esacerbare gli animi ed eccitare contrapposizioni.
Per quanto riguarda il problema dei dati, a cui lei dedica tanto spazio, non posso che confermare quanto già spiegato. Non si tratta di una scelta finalizzata a nascondere o difendere ciò che non può essere difeso, ma di un problema tecnico-giuridico derivante da una situazione pregressa che ora però si sta risolvendo grazie a quanto avviato da questa complessa, coraggiosa e ormai inarrestabile fase di transizione. Ecco, dobbiamo partire da questo punto per capire che lo sguardo della Chiesa sul problema degli abusi commessi da persone consacrate è segnato da una netta volontà di trasparenza e di collaborazione con le autorità civili. Quando un Papa scrive parole così impegnative - “La tutela dei minori e delle persone vulnerabili fa parte integrante del messaggio evangelico che la Chiesa e tutti i suoi membri sono chiamati a diffondere nel mondo. Cristo stesso infatti ci ha affidato la cura e la protezione dei più piccoli e indifesi” (Motu proprio di papa Francesco “Sulla protezione dei minori e delle persone vulnerabili” , 26 marzo 2019) – solo chi è in malafede può pensare che si tratti di una scelta per mettere in atto azioni diversive e lei fa un grave errore ad assolutizzare la polemica para-ideologica di un Comitato Onu, ignorando del tutto quella rigorosa ma più serena di un altro Comitato dello stesso organismo.
Ora, concretamente, quale è la difficoltà relativa ai dati? Il diritto canonico indica che le diocesi, quando si avviano procedimenti relativi ai cosiddetti delicta graviora, debbano fare riferimento alla Congregazione per la dottrina della fede, cioè al Vaticano. Quando si avvia un’indagine gli sbocchi possono essere diversi. Tutto può terminare dopo la cosiddetta “indagine previa” e quindi con l’archiviazione. Oppure si può avviare il procedimento e arrivare a giudizio. Anche in questo caso con possibilità di assoluzione oppure di condanna. Ma che si può prospettare le necessità di un supplemento di indagini. Una gamma di possibilità ampia e complessa, che non può essere banalizzata. La Congregazione per la dottrina della fede non ha però un ufficio statistico. Certo, potrebbe limitarsi a comunicare i dati in suo possesso alle varie Conferenze episcopali ma, a norma di diritto canonico, questi automatismi non sono ancora previsti. Come detto, siamo in una fase di transizione e non si può pretendere che tutto succeda in poche settimane. Anche le procedure canoniche hanno i loro tempi. La Chiesa italiana farà al più presto tutti i passi necessari per colmare questa lacuna. Ci arriveremo. Ma dobbiamo riconoscere che anche la giustizia italiana su questo punto è assolutamente carente. Mentre è possibile avere i dati delle diverse procure, non esiste un servizio statistico informatizzato a livello centrale dove attingere i dati in tempo reale. Per esempio, non sappiamo neppure con esattezza quanti sono i minori fuori famiglia in affidamento familiare e in strutture d’accoglienza e dobbiamo limitarci a stime più o meno credibili. Allo stesso modo succede per i procedimenti relativi agli abusi.
Ecco perché la mappa da lei compilata attingendo i dati, come scrive, “dalla sola stampa nazionale” non può che risultare assolutamente parziale. Quanti sono i casi raccontati a tutta pagina dai giornali di cui poi non si sa più nulla? Quanti di quei casi sono stati archiviati o sono finiti con l’assoluzione della persona coinvolta? Non lo sappiamo e si tratta di una carenza molto grave. Si dovrà cambiare al più presto, d’accordo. Ma la procedura stabilita e avviata dalla Chiesa italiana all’insegna dell’efficienza e della trasparenza ci dice che dalla direzione imboccata non si potrà più deviare. D’altra parte le tre lettere in forma di Motu proprio scritte da papa Francesco sull’argomento (4 giugno 2016, 26 marzo 2019, 9 maggio 2019), l’importantissima “Lettera al popolo di Dio” – il documento in cui il Pontefice, all'indomani della pubblicazione del rapporto sui casi di pedofilia nelle diocesi della Pennsylvania (Stati Uniti), esprime a nome dell’intero popolo di Dio "vergogna e pentimento". E sottolinea la necessità della conversione da parte dell’intera comunità ecclesiale (20 agosto 2018) -, l’incontro in Vaticano con tutti i presidenti delle conferenze episcopali del mondo (2 febbraio 2019), e tanti altri interventi del Pontefice (dalla creazione della Pontificia commissione per la protezione dei minori all’istituzione di uno specifico reato canonico, giugno 2016) testimoniano che il tema della protezione dei minori non è elemento accessorio della riforma di Francesco ma qualcosa di strutturale e decisivo.
Questi sono fatti, gentile signor Zanardi, gesti e parole che hanno trovato concreta attuazione e da cui non si potrà più prescindere. I vescovi italiani, come lei e come tutte le persone che hanno sofferto a causa di gesti odiosi e terribili, non smettiamo di lavorare per una Chiesa fedele al Vangelo, vicina alle vittime e madre per tutti, che sappia cancellare per sempre, soprattutto quando parliamo di abusi sui bambini, oltre al male commesso, anche “il peccato di nascondere e di negare”.
Noi di Avvenire - impegnati da decenni nella denuncia del violento "mercato" della pedofilia e della pedopornografia, rigorosi nel riconoscere e affrontare le ferite inferte alle loro vittime e all'intera comunità ecclesiale dalle persone consacrate che hanno commesso abusi - siamo lieti di questa chiara scelta e ci sentiamo impegnati a renderla evidente e sostenerla.
Anche a nome del direttore, ricambio il suo saluto
Luciano Moia
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