Letture. Nel 2045 la fine della fertilità umana? Un allarme trascurato
Il futuro dell’umanità è a rischio. Di fronte a un’affermazione come questa la stragrande maggioranza delle persone penserebbe immediatamente alla crisi ambientale, imputando a essa la responsabilità di una possibile estinzione del genere umano. Poco invece si dice di un altro fenomeno: la crisi della fertilità. Non è un problema da poco, perché l’impegno che stiamo profondendo per mettere al sicuro la Terra rischia di dover essere riconsiderato se nel frattempo non facessimo altrettanto per evitare che gli esseri umani perdano la capacità di riprodursi.
Non si tratta di una visione da romanzo o film distopico, ma di ricerche scientifiche. A raccogliere le più significative e inquietanti, comprese quelle condotte in prima persona col suo gruppo di ricercatori, è stata Shanna H. Swan, epidemiologa ambientale e riproduttiva che da tempo indaga la crisi della fertilità, autrice di un saggio di recente pubblicazione e dal titolo inequivocabile: Countdown. Come il nostro stile di vita minaccia la fertilità, la riproduzione e il futuro dell’umanità (Fazi editore, 380 pagine, 22 euro). Swan fa rilevazioni inquietanti. Dal 1973 al 2011 la conta spermatica totale degli uomini dei Paesi occidentali è diminuita del 60% e continua a calare, tanto che oggi un maschio adulto avrebbe la metà degli spermatozoi di suo nonno: un tasso di riduzione che in teoria porterebbe all’azzeramento della possibilità riproduttiva entro il 2045.
Swan parla di "effetto 1%", una percentuale che ricorre in diversi studi: l’1% è il tasso di riduzione annua della conta spermatica, il calo del livello di testosterone, l’aumento dei casi di cancro ai testicoli, la diffusione dei problemi di disfunzione erettile, l’aumento degli aborti spontanei, e persino – va da sé – il ricorso alla maternità surrogata. Dietro il crollo dei tassi di fecondità, insomma, non ci sono solo scelte guidate dai valori e dalla cultura contemporanea, ma un problema strutturale imputabile agli stili di vita del mondo sviluppato. Countdown individua la causa di tutto questo in fattori come l’inquinamento, lo stress, l’alimentazione, il fumo, l’alcool e le droghe, ma soprattutto porta una mole impressionante di prove contro sostanze chimiche come gli Ftalati e i Pfas che alterano la produzione di ormoni sessuali.
Sotto accusa finiscono così una montagna di prodotti di uso comune: contenitori di plastica per bevande e alimenti, impermeabilizzanti per tessuti, fragranze, sciampi, smalti per unghie, saponi, prodotti elettrici, giocattoli per bambini, lozioni, plastiche di bassa qualità... Swan – che offre una lunga lista di azioni per affrontare il problema – cita studi che mostrano come l’esposizione a sostanze chimiche in grado di alterare il sistema endocrino possa influenzare lo sviluppo dei genitali, la definizione del sesso, e persino il modo in cui i bambini giocano, modificando ruoli maschili e femminili, lasciando pensare a un effetto sull’identità di genere e le preferenze sessuali. Forse l’amore non è solo una questione di "chimica", ma il futuro dell’umanità potrebbe esserlo.